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Trump ha un piano: favorire Sanders per spaccare i Dem

“Andate a votare per Bernie Sanders”: è l’invito shock fatto da Donald Trump ai suoi fans in un comizio in South Carolina, dove oggi si svolgono le primarie democratiche (le repubblicane sono state annullate, perché il magnate presidente non ha praticamente avversari per la nomination).

In South Carolina – quattro milioni e mezzo d’abitanti, su una superficie pari a un quarto dell’Italia -, le primarie sono aperte: possono cioè votare anche coloro che non sono registrati per un partito. Quindi i sostenitori di Trump possono influenzare e magari determinare l’esito del voto fra i democratici.

Nel suo comizio, Trump prima ha chiesto ai suoi fan chi fosse per loro il miglior avversario con cui confrontarsi nell’Election Day, il 3 novembre. La folla ha risposto “Bernie”, ricoprendo di “buu”, invece, l’ex vice di Barack Obama Joe Biden. Il magnate s’è detto d’accordo: “Anch’io penso che Bernie sia il più facile da battere”. Poi ha invitato i sostenitori ad andare a votare per Sanders oggi.

L’episodio si somma ai numerosi interventi pro Sanders già fatti da Trump e alle voci d’intelligence secondo cui la Russia starebbe lavorando perché Sanders ottenga la nomination – per aiutare Trump a essere rieletto -. Tutti elementi destinati ad alimentare le discussioni interne al partito democratico sulla eleggibilità di Sanders e, quindi, sull’opportunità di averlo come candidato.

I media Usa riferiscono tensione e nervosismo fra i super-delegati alla convention democratica – quelli, cioè, “di diritto”, non scelti dagli elettori alle primarie -: una stragrande maggioranza è contraria alla scelta di Sanders. Fu così già nel 2016: i super-delegati furono un elemento chiave della nomination a Hillary Clinton.

Ci si chiede che cosa accadrà se Sanders arriverà alla convention con una maggioranza di delegati, ma senza la maggioranza assoluta di essi. I super-delegati sono favorevoli a una convention aperta, dove a quel punto contano le scelte e le alleanze politiche. Nancy Pelosi, la speaker della Camera, non la esclude: “Sarà il nostro candidato chi ottiene la maggioranza assoluta dei delegati. Ciò può anche avvenire prima della convention, ma stiamo a vedere”. E la Pelosi assicura che, “contrariamente a quanto si dice”, i democratici “sono uniti”: “Chiunque sia il nostro candidato, lo sosterremo con forza”.

Le primarie in South Carolina sono le quarte della serie: Sanders ha vinto per voti popolari le prime tre – Iowa, New Hampshire, Nevada – e ha oggi 45 delegati, contro 24 a Pete Buttigieg, 15 a Biden, 8 a Elizabeth Warren e 7 ad Amy Klobuchar. In South Carolina, dove il voto nero ha molto peso, è favorito – ma le indicazioni dei sondaggi sono contraddittorie – Biden e dovrebbe pure andare bene Tom Steyer, il miliardario filantropo rimasto finora in secondo piano.

Per Biden, che ha appena ricevuto l’appoggio di Leon Panetta, ex capo del Pentagono e della Cia durante l’amministrazione Obama, e capo della campagna di Hillary nel 2016, vincere, o almeno fare molto bene, in South Carolina è essenziale, per riuscire a coagulare i voti dei centristi, piuttosto che Buttigieg, la Klobuchar o Mike Bloomberg, che scenderà in lizza solo nel Super-Martedì.

Se a fine mese saranno stati assegnati 167 delegati, il 4%, del totale, il 3 marzo andranno al voto 14 Stati (Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont, Virginia), oltre alle Isole Samoa e alla constituency dei Democrats Abroad: saranno distribuiti in un giorno solo 1.344 delegati, oltre un terzo del totale.

Panetta è il nono esponente dell’amministrazione Obama a sostenere Biden. I due si conoscono dagli anni Settanta, quando Panetta era alla Camera e Biden al Senato. “Biden è indiscutibilmente la persona più qualificata per fare il presidente. Conosce e capisce le responsabilità del ruolo e non ha bisogno di training”.

(Foto: Phil Roeder)

(Usa2020)

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