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Coronavirus, la recessione è questione di decimali. Parla Magri (Ispi)

L’Italia resta in una situazione di emergenza a causa del coronavirus. Sono 1128 le persone che fino ad oggi hanno contratto il virus nel Paese, secondo gli ultimi dati del Dipartimento della Protezione Civile. Nell’ambito del monitoraggio sanitario, i contagiati sono in Lombardia 615, 217 in Emilia-Romagna, 191 in Veneto, 42 in Liguria, 13 in Campania, 11 in Piemonte, 11 in Toscana, 11 nelle Marche, 6 nel Lazio, 4 in Sicilia, 3 in Puglia, 2 in Abruzzo, 1 in Calabria e 1 nella Provincia autonoma di Bolzano (dati del 29 febbraio ore 18). Non mancano le polemiche per le misure preventive, giudicate da alcuni troppo restrittive. Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elevato a “molto alto” il rischio di un’epidemia mondiale. La Francia e la Germania sono in allerta, mentre il governo di Donald Trump ha deciso di “sconsigliare” i viaggi in Italia.

Intanto, cominciano ad accennarsi gli effetti del coronavirus sull’economia italiana, le dinamiche geopolitiche, il prezzo del petrolio e persino settori molto legati al mercato asiatico come la moda. In una conversazione con Formiche.net, Paolo Magri, vicepresidente esecutivo e direttore dell’Istituto di studi di politica internazionale (Ispi), e professore di Relazioni internazionali all’Università Bocconi, spiega la dimensione del fenomeno.

Gli italiani sono sempre più isolati dagli altri Paesi. Ci sarà un impatto diplomatico e geopolitico per colpa del coronavirus?

Alcuni Paesi stanno adottando nei nostri confronti misure simili a quelle che noi abbiamo prima adottato nei confronti della Cina e nei confronti dei nostri concittadini che vivono nelle zone rosse poi. Non credo che ciò possa causare crisi diplomatiche: non ci sono state neppure – salvo qualche reazione ufficiale un po’ stizzita – da parte dei cinesi, in genere ipersensibili e vocali quando vedono possibili discriminazioni. Gli impatti geopolitici possono invece essere significativi con un ulteriore crollo della fiducia reciproca fra gli Stati, in un confronto “unto/untore“ peraltro in continuo divenire.

Secondo lei, quali saranno gli effetti del coronavirus sull’economia in Italia? Si rischia la recessione?

Con i nostri tassi di crescita asfittici entrare in recessione è una questione di decimali… Se questa crisi sanitaria – ormai crescentemente globale – non rientrasse in tempi brevi in gioco ci sarebbe ben più che qualche decimale. E non solo per noi.

È davvero statisticamente possibile che altri Paesi, che hanno addirittura più scambi commerciali con la Cina, abbiano meno contagiati dell’Italia?

Dietro questo interrogativo – che ritorna frequentemente in questi giorni – si cela spesso la convinzione che altri Paesi non stiano diffondendo notizie accurate. Può certamente succedere, in regimi e società chiuse: ho difficoltà a pensare possa succedere in Francia o Germania o Stati Uniti. E anche la Cina, meno “aperta“ di altri, ha dimostrato che nell’epoca dei social le notizie circolano più velocemente e in modo più incontrollabile.

Quali saranno i settori dell’economia più colpiti a livello globale? I numeri del settore moda e del lusso, a causa del legame con clienti e produttori asiatici, per esempio, sembrano allarmanti.

Certo moda e lusso, quando parlavamo di epidemia in Cina e quarantene e zone rosse cinesi: meno vendite in loco, meno export, meno vendite ai turisti cinesi in Italia. Era solo una settimana fa, sembra un secolo. Ora abbiamo “quarantene e zone rosse“ in Lombardia e Veneto; cancellazioni di fiere ed eventi; paralisi del turismo tout-court, on solo dalla Cina: e anche altri Paesi stanno accusando i primi colpi. I settori impattati possono essere ben di più del solo lusso e della moda.

Quali saranno le conseguenze di questa congiuntura sul mercato petrolifero? L’Opec ridurrà ancora la produzione per alzare il prezzo?

Lo scopriremo settimana prossima, al meeting dell’Opec plus. È quasi certo che ci sarà un nuovo tentativo di ridurre la produzione per risollevare i prezzi. Ma è altrettanto vero che molti Paesi esportatori di petrolio sono già da tempo sotto forte pressione finanziaria: in primis l’Iran, sotto sanzioni internazionali e in prima linea ad affrontare l’emergenza coronavirus. La paura di questi Paesi è che i tagli alla produzione non facciano salire i prezzi a sufficienza, e che dunque le loro entrate si riducano ulteriormente. Da parte di molti ci sarà dunque tutto l’interesse a non mantenere le promesse di taglio e a “sforare”, sperando di non essere puniti. Insomma, il rischio è che tutto si concluda in un niente di fatto.

Sono stati commessi errori (e se sì, quali) a livello di comunicazione in questa situazione di emergenza? Quali sono le sue raccomandazioni per non fomentare il panico?

È, appunto, una situazione di emergenza nella quale autorità nazionali e locali hanno dovuto cercare una mediazione, in tempi brevi, fra “contenimento“ – che in assenza di vaccino significa sensibilizzazione, isolamento, quarantena, chiusura – e “business as usual”. Nei primi giorni è passato soprattutto il primo messaggio, con forte allarme nella popolazione: si sta ora cercando un maggior bilanciamento, con qualche cautela anche comunicativa in più. Le notizie che arrivano dal resto del mondo, il “contagio“ dei mercati finanziari e l’incertezza su cosa si potrà o non si potrà fare dalla prossima settimana in ampie zone del Paese rischiano però di complicare il successo degli appelli al “business as usual”.



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