Con l’emergenza in corso, la priorità è tutelare la salute dei militari italiani e sfruttare al meglio le capacità che le Forze armate sono in grado di mettere in campo. Poi, a emergenza finita, “si dovrà riflettere su una riforma radicale del servizio sanitario nazionale, affinché sia perfettamente sovrapponibile a quello civile”. Parola del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, che Formiche.net ha sentito per capire come il coronavirus può impattare su un’organizzazione che conta oltre 165mila militari (esclusi Carabinieri), di cui circa 14mila impegnati in operazioni sul territorio nazionale e oltre i confini. Per ora, i riflettori si sono accesi per il generale Salvatore Farina, capo di Stato maggiore dell’Esercito, risultato positivo al virus, e per la cancellazione del giro del mondo della Nave Vespucci. C’è però di più.
L’IMPATTO SULLE ATTIVITÀ MILITARI
Ci sono rischi particolari per i militari italiani? “È chiaro che le attività militari tipiche sono condotte raramente singolarmente, sempre in collettività più o meno estese”. Dunque, “pur non conoscendo le disposizioni specifiche che il ministro e il capo di Stato maggiore della Difesa hanno dato rispetto alla tutela della salute dei militari, ciò comporta delle limitazioni notevoli”. In altre parole, ha detto Tricarico, “non c’è dubbio che le attività di addestramento, sia quelle che riguardano un impiego tradizionale, sia altre operazioni non convenzionali, ibride o anomale, debbano essere rivisitate in modo che non comportino rischi per la salute e l’incolumità dei militari; penso ad esempio alle esercitazioni Nato, che si svolgono con numeri improponibili”.
TRA LIMITI E CONTRIBUTI
E infatti, da ormai due settimane, su tutto il territorio nazionale sono stati limitati “all’essenziale” gli eventi a carattere non operativo. “Limitati al minimo indispensabile” i movimenti in ambito nazionale e da e per i teatri operativi. D’altra parte, ci sono anche gli oltre 7.300 militari impegnati al di fuori dai confini nazionali. Per loro, il Comando operativo di vertice interforze ha impartito “specifiche misure precauzionali”. Oltre i rischi, l’altro lato della medaglia riguarda il contributo che le Forze armate offrono nell’emergenza coronavirus. “È l’occasione classica, sconosciuta ma sempre teorizzata, dell’impiego delle Forze armate a supporto della collettività nazionale”, ha spiegato il generale Tricarico. “E non c’è dubbio che qui siamo in emergenza vera; non è Strade sicure né altro impiego pseudo-emergenziale”. Non a caso, la Difesa si è mobilitata da subito, già per il rientro dei connazionali bloccati a Wuhan, tornati in Italia grazie alle competenze dell’Aeronautica militare nel trasporto eccezionale, pure in biocontenimento.
LE CAPACITÀ DELLA DIFESA
C’è poi da considerare “la ventina di aeroplani che compongono la flotta di Stato”, oltre ai tanti aeromobili “utili e attrezzati per trasferire pazienti, anche gravi, da una regione geografica all’altra per evitare lo stress delle strutture sanitarie”. Oltre al trasporto, ha notato Tricarico, “ci sono altri settori in cui la compagine militare è più avanti rispetto a quella civile – ha notato Tricarico – ad esempio sulle professionalità nel trattamento di pazienti contaminati da radiazioni, agenti chimici o batteriologici”. Già da diversi giorni, inoltre, militari sono impegnati nel monitoraggio delle zone rosse, mentre migliaia di posti letto in strutture su tutto il territorio nazionali sono state messe a disposizione per le misure di sorveglianza sanitaria. “Possono rappresentare una risorsa sicuramente adattabile a coprire un’emergenza, soprattutto se dovesse espandersi a tutto il territorio nazionale”, ha rimarcato il generale.
IL COORDINAMENTO DEL COI
A coordinare il contributo della Difesa c’è il Comando operativo di vertice interforze, che da subito ha implementato una sala operativa h24 dedicata all’emergenza. Da lì sono stati coordinati tutti i trasferimenti dei connazionali dall’estero e lì vengono gestite e condivise le informazioni di interesse con gli altri dicasteri. Guida l’impegno il ministro Lorenzo Guerini, che nei primi giorni dell’esplosione dei contagi si dirigeva nel lodigiano per verificare di persona la situazione. È originario proprio di lì, già sindaco di Lodi e presidente della provincia.
UNA RIFORMA DEL SISTEMA SANITARIO MILITARE
In ogni caso, l’augurio di Tricarico è che “a emergenza finita, si possa fare una riflessione su una riforma radicale della sanità militare”. Difatti, “oggi come oggi, essa è solo parzialmente sovrapponibile alla sanità non militare, e invece dovrebbe essere completamente sovrapponibile e sostituibile alla sanità civile”. Perché? “Perché oggi un medico militare è in genere preposto alle cure di una popolazione fondamentalmente sana; oltre a controlli, verifiche e cure sporadiche rispetto a circostanze del tutto accidentali, non si può dire che la sanità militare sia impegnata sulle più diverse patologie di cui affetta normalmente la popolazione civile”.
LA PROPOSTA
Per questo, ha detto il presidente della Fondazione Icsa, “non sarebbe male che i medici militari fossero permanentemente integrati in strutture sanitarie nazionali, dedicando a questo incarico non secondario, ma partitario, quota parte notevole del proprio impiego professionale”. Ciò comporterebbe “un vantaggio per la collettività nazionale, che potrebbe contare su risorse umane potenziante, e un vantaggio anche per il personale medico e paramedico della Difesa, che resterebbe costantemente aggiornato”. Stesso discorso, ha aggiunto Tricarico, “vale per le infrastrutture: quelle esclusive per il personale militare dovrebbero, con la definizione di determinate regole, essere biunivoche e prestarsi alla diagnostica e alla cura anche di cittadini ordinari”. Ciò, ha detto concludendo, “conferirebbe maggiori potenziali al sistema sanitario militare nel suo complesso, soprattutto in circostanze come queste in cui bisogna correre ai ripari”.