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La ricerca e la tecnologia per la Difesa. Ecco il modello della Corea del Sud (interessante!)

Dopo Stati Uniti, Cina e Francia, anche la Corea del sud punta tutto sull’innovazione nel campo della Difesa. L’Assemblea nazionale di Seul ha approvato la scorsa settimana il “Defense science and technology innovation promotion act”, una riforma completa del sistema di ricerca e sviluppo (R&D) militare. Poggia sulla cooperazione pubblico-privata e sull’incremento delle risorse destinate al settore. Il livello di ambizione è stato spiegato da Wang Jung-hong, numero uno della Dapa (Defense acquisition program administration), l’agenzia governativa che si occupa del procurement e che ha curato la riforma. Si vuole preparare il Paese ai “futuri cambi di battaglia in costante e rapido cambiamento”.

INCENTIVI PER L’INNOVAZIONE SPINTA

La riforma, spiega la Dapa, dovrebbe entrare in vigore nel giro di un anno e servirà a “rendere rapidi i cambiamenti nella quarta rivoluzione industriale e a supportare sistematicamente le attività di R&D per la Difesa”. Punta tutto su “apertura” e collaborazione”, ma anche su un più elevato livello di finanziamenti pubblici. In altre parole, si tratta di spingere al massimo sulle partnership pubblico-private, coinvolgendo le aziende (dai big, alle più piccole) sulle attività delle agenzie governative impegnate nello sviluppo di nuove tecnologie militari. È un “open defense R&D system” alimentato da incentivi per le imprese che collaboreranno su progetti nazionali, prevedendo premi ai cosiddetti “fallimenti di successo” per non perdere l’innovazione spinta. La Dapa ha per questo elaborato un nuovo sistema di riconoscimento della performance, il quale sposta la lente del monitoraggio dal risultato al processo, premiando le aziende che investono in tecnologie con risultati non immediatamente evidenti per “limitazioni tecniche”, favorendo in tal modo la loro crescita.

IL LIVELLO DI FINANZIAMENTI…

Serviranno per questo nuove risorse. Secondo Wang, quest’anno la Corea del sud può contare su 3,3 miliardi di dollari per i programmi di ricerca e sviluppo in campo militare, pari al 16% del budget totale che il governo gestisce per attività di R&D, tra l’altro nell’ambito di un bilancio della Difesa di oltre 42 miliardi di dollari (poco meno del doppio rispetto a quello italiano). Come ricorda il periodico specializzato Jane’s Defence Weekly, già lo scorso anno, Seul aveva annunciato un programma aggiuntivo da 18 miliardi per il biennio 2023-2024, tutto per l’R&D militare, diretto per lo più all’Agency for Defense development (Add), struttura interna alla Dapa che si occupa specificatamente di ricerca.

PROGRAMMI E AMBIZIONI DI EXPORT

Il programma di punta resta il KF-X, il velivolo da combattimento multiruolo di nuova generazione che i sudcoreani puntano a costruire interamente dentro i confini nazionali con Korea Aerospace Industries (KAI). Ci sono comunque anche elicotteri d’attacco, sistemi missilistici e unità navali, insieme a una pletora di tecnologie (comprese intelligenza artificiale e robotica) da integrare su tali piattaforme per cui Seul vuole slegarsi dall’export straniero. Il recente report dell’istituto svedese Sipri pone la Corea del sud al settimo posto della classifica globale di importatori di armamenti (periodo 2015-2019), con uno share del 3,4% sul scala mondiale e una crescita del 3,3% rispetto al quinquennio precedente. Oltre la metà dell’import arriva dagli Stati Uniti, seguiti da Germania (30%) e Spagna (17%). È altrettanto evidente però il tentativo di ribaltare la situazione. Nello stesso report, la Corea del sud appare al decimo posto tra gli esportatori, con una crescita del 143% rispetto ai cinque anni precedenti e il Regno Unito quale prima destinazione, seguito da Iraq e Indonesia.

UN MODELLO DA SEGUIRE?

A giudicare dal livello di investimenti e dal programma dedicato a ricerca e sviluppo, il trend è destinato a proseguire nei prossimi anni. Il caso sudcoreano non è comunque isolato. È sempre più frequente tra i grandi player globali la spinta all’innovazione per la Difesa, con la creazione di specifiche agenzie e l’aumento delle risorse destinate alle tecnologie disruptive. La Cina ha ormai un programma completo, tra intelligenza artificiale e Big data. Il modello di riferimento per l’Occidente restano però gli Stati Uniti, con la celebre Darpa che dagli anni 50 opera alle dirette dipendenze del capo del Pentagono guidando la ricerca avanzata. Più recente il caso francese. Dal 2018, all’interno della Direzione generale per gli armamenti (Dga), è operativa l’Agence innovation défense (Aid). Con un personale di circa 100 unità, si occupa di finanziare “gli studi iniziali e i meccanismi di sostegno all’innovazione” in campo militare, gestendo un budget di 720 milioni di euro che dovrebbe arrivare a un miliardo dal 2022 (la Difesa francese ha previsto incrementi di bilancio trasversali, finalizzati a modernizzare l’intero strumento militare).

IL CASO ITALIANO

Anche l’Italia, seppur in ritardo, si è mossa in tale direzione. A inizio gennaio è iniziato al Senato l’iter per il parlamentare per il disegno di legge che punta a istituire “una Darpa italiana”, ovvero un centro specificatamente dedicato all’innovazione tecnologica in campo militare. La proposta ruota il intorno alla trasformazione del Centro interforze di studi per le applicazioni militari (Cisam), la struttura della Difesa situata a Pisa. Verrebbe rinominata in Centro interforze per l’innovazione e le tecnologie strategiche (Cintes) e posto “a livello gerarchico alle dipendenze del capo di Stato maggiore della Difesa e a livello funzionale alle dipendenze del segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti”. Forte il focus alla cooperazione con il mondo industriale e della ricerca. Il caso sudcoreano (proprio come quelli americano e francese) insegna però che serve un altro ingrediente: i finanziamenti.



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