Skip to main content

Ecco chi si contende il mercato delle armi in Medio Oriente. Il report Sipri

Stati Uniti, Francia e Russia, con la Cina in crescente penetrazione. Sono loro a contendersi il mercato delle armi in Medio Oriente. Negli ultimi cinque anni, la regione ha aumentato del 61% le importazioni di materiali relativi alla difesa rispetto al quinquennio precedente, collocando cinque Stati nella top ten dei Paesi che acquistano di più. È il sintomo di un’area che ribolle, in cui l’instabilità regionale si somma al gioco tra le grandi potenze. Per quest’ultime, l’instabilità mediorientale aumenta opportunità commerciali che nel campo della Difesa sono sempre da intendersi come strumento di politica estera e rafforzamento dei partenariati strategici.

LE ARMI NELLA REGIONE

Il quadro emerge dal recente rapporto dell’autorevole Stockholm international peace research institute (Sipri) relativo ai trasferimento globali di sistemi d’arma di classe “major” negli ultimi cinque anni (2015-2019). Tutte i maggiori esportatori hanno incrementato le vendite nell’area. Gli Stati Uniti restano primi esportatori, coprendo il 53% dei trasferimenti regionali. Seguono la Francia con il 12% (in fortissima ascesa) e la Russia con l’11%, mentre aumenta anche la capacità di penetrazione cinese che ha già fatto preoccupare Washington.

ARABIA SAUDITA…

Sul lato dell’import, il Paese che acquista di più resta l’Arabia Saudita, con un aumento del 130% tra i quinquenni in questione. Riad copre il 12% delle importazioni globali, acquistando prima di tutto da Stati Uniti (73% in aumento rispetto al report dello scorso anno), Regno Unito (13%, in calo) e Francia (4,3%, stabile). Significa che i sauditi comprano un quarto delle armi vendute nel mondo dagli americani. Riad è forte di un budget per la Difesa che lo stesso Sipri stimava lo scorso anno di 68 miliardi di dollari, pari all’8,8% del proprio Pil. Non si nota ancora il potenziamento del comparto nazionale (per slegarsi dall’import) predisposto dall’erede al trono Mohammed Bin Salman con la sua Vision 2030, mentre appare evidente il consolidamento della partnership con gli Usa voluto dall’amministrazione targata Donald Trump, superando le freddezza dell’era Obama per l’accordo nucleare iraniano.

…ED EGITTO

Grande protagonista regionale è poi l’Egitto, al terzo posto degli importatori tra il 2015 e il 2019 con un aumento del 212% rispetto al periodo precedente. È dovuto secondo gli esperti alla necessità di affrontare molteplici sfide alla sicurezza, dal coinvolgimento nella crisi libica e in Yemen, agli sforzi contro i ribelli nel Sinai, fino alle preoccupazioni energetiche nel Mediterraneo. Il Cairo ha acquistato soprattutto da Francia (35%), Russia (34%) e Usa (15%). In tal senso, si nota soprattutto la riduzione delle forniture americane, su cui hanno pesato le frizioni originate dal colpo di Stato che nel 2013 ha destituito Mohamed Morsi. Ne hanno approfittato Francia e Russia, i due Paesi che hanno un filo diretto con il Cairo anche nella questione libica nel comune appoggio a Khalifa Haftar.

TRA EMIRATI E IRAQ

Altri tre Paesi mediorientali si collocano agli ultimi posti della top ten di Sipri per l’import, rispettivamente Emirati Arabi, Iraq e Qatar. Per gli emiratini, gli acquisti sono in realtà calati del 18%, con forniture che arrivano soprattutto dagli Usa (68%), seguiti ancora una volta dalla Francia (11%). Notevole invece il salto in avanti iracheno, con una crescita dell’importo del 98% che risente della relativa stabilità ritrovata negli ultimi anni (almeno fino alla recente escalation con l’uccisione di Qassem Soleimani) e della posizione in un’area instabile. Nel Paese sembra più evidente la competizione globale: gli acquisti arrivano per il 45% dagli Stati Uniti e per il 34% dalla Russia.

L’ASCESA DEL QATAR

Per il Qatar, l’aumento è il maggiore di tutti i 40 importatori analizzati da Sipri. Le importazioni di Doha sono cresciute del 631% tra i periodi in questione, arrivando per metà dagli Stati Uniti e per il 34% (ancora) dalla Francia. È il sintomo di un risveglio della proiezione regionale qatarina degli ultimi anni, caratterizzatasi per un rafforzamento dei rapporti con i Paesi occidentali (Italia compresa, con il maxi accordo con Fincantieri). L’obiettivo era uscire dall’isolamento in cui le altre monarchie del Golfo (Arabia Saudita in testa) hanno cercato di rinchiuderlo da circa due anni, con l’accusa di sostenere le ambizioni iraniane nella regione mediorientale e di offrire supporto ai Fratelli Musulmani in Egitto e a gruppi integralisti come Hamas.

CHI SE LI CONTENDE

I dati appena evidenziati bastano già per chiarire chi si sta contendendo il mercato mediorientale. Per gli Usa è più che altro una conferma (il Medio Oriente assorbe il 51% delle vendite, con un aumento nel periodo del 79%). A sorprendere maggiormente è l’ascesa francese. Le vendite di Parigi nella regione sono aumentate del 363% rispetto al 2010-2014, tanto che alla regione va il 52% dell’export d’oltralpe. La prime destinazione è l’Egitto (26%), e tanto basta per capire le insofferenze transalpine per la discussa nuova intesa tra Roma e Il Cairo in ambito militare, nell’ambito di una ricostruzione dei rapporti che pare essenziale anche per risolvere l’intricato dossier libico. Oltre Usa e Francia, c’è poi la Russia. Pur riducendo le esportazioni complessive (-18%), Mosca ha aumento le vendite in Medio Oriente, dimostrando così l’intenzione di non mollare lo spazio conquistato con l’intervento in Siria. Le vendite russe a Egitto e Iraq sono cresciute rispettivamente del 191% e del 212%. Meno appariscente l’ascesa cinese. Pechino mantiene un rapporto stretto con l’Algeria, ma ha anche aumentato le destinazioni del proprio mercato fino a 53 Paesi.

LO STRANO CASO TURCO

Un discorso separato riguarda la Turchia, in costante discesa nella classifica dell’import. Alla fine degli anni 90, Ankara era sul podio degli importatori. Nel 2015-2019 si colloca al quindicesimo posto, con una riduzione del 48% degli acquisti rispetto al quinquennio precedente. Eppure nello stesso periodo i turchi hanno aumentato la pressione sui curdi, nonché il coinvolgimento nei conflitti in Siria e Libia. La riduzione, secondo Sipri, è da rintracciare in due fattori. Primo, nella mancata consegna di sottomarini tedeschi. Secondo, nella scelta di Ankara di spingere sulla crescita del comparto nazionale. Potrebbero inoltre aver già pesato sui dati le restrizioni imposte da alcuni Paesi europei per l’azione sui curdi, nonché l’estromissione dal programma F-35 predisposta da Washington dopo l’acquisto del sistema russo S-400. È un dato che l’Italia dovrà attenzionare. Secondo Sipri, la Turchia è la prima destinazione dell’export italiano, assorbendo il 20% delle nostre vendite internazionali.



×

Iscriviti alla newsletter