“Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.
Sono parole ancora tanto attuali, nonostante siano state scritte ben 79 anni fa in una piccola isola del Tirreno, e invito tutti a rileggere le illuminanti argomentazioni di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi contenute nel Manifesto di Ventotene. Di fronte allo smarrimento dell’essenza più profonda dell’autentico spirito europeista, è giunto il momento di riprendere le fila di un discorso che pare socialmente ed economicamente pieno di speranza, ma che ha bisogno, appunto di rinnovarsi sapendo “gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti”, tenendosi “pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato”, scartando “gli inetti fra i vecchi” e suscitando “nuove energie tra i giovani”.
Perché non realizzare questo New deal europeo, partendo da un “nuovo rinascimento italiano”, ossia di un Paese strategico soprattutto nello scacchiere Euromediterraneo, e crocevia per un dialogo concretamente più costruttivo tra le due sponde del Mediterraneo?
I tempi che stiamo vivendo, e con essi i problemi che sempre più si affacciano all’orizzonte per le nuove generazioni, richiedono una nuova dimensione dello sviluppo economico. Serve una svolta epocale. Ormai è uno stillicidio di dati negativi sulle performance dell’Italia in materia di sviluppo. Secondo il World Economic Forum, su 141 Paesi, l’Italia è 96esima per efficienza amministrativa, 138esima per quantità e complessità della regolamentazione governativa (ossia, eccessiva onerosità per le aziende ai fini del rispetto dei requisiti stabiliti dalla pubblica amministrazione), 130esima per visione a lungo termine del governo, 124esima per creazione di un ambiente politico stabile per fare affari, 103esima per valorizzazione della meritocrazia e per la promozione delle competenze, 107esima per fiducia nella qualità dei quadri dirigenti, 130esima per proporzione del rapporto tra retribuzione e produttività, 130esima per tassazione del lavoro, 99esima per crescita di aziende innovative, 97esima per cultura imprenditoriale complessiva, 93esima per costi elevati relativi all’avviamento di un’attività imprenditoriale in percentuale rispetto all’RNL pro capite, e 97esima per aziende che abbracciano idee dirompenti.
L’ assoluta assenza di un concreto ed efficace programma di crescita del Paese, soprattutto da parte degli ultimi governi, è sancito anche dall’ultimo impietoso rapporto Eurostat sul divario fra i ricchi e i poveri, che vede l’Italia ricoprire il poco invidiabile primato negativo tra i Paesi più popolosi dell’area Ue. La politica per lo più preferisce prestare la sua attenzione alla contingenza degli eventi (ad esempio le varie tornate elettorali) o agisce quasi esclusivamente sulle emergenze (come è quella attuale). In un perenne stato di campagna elettorale, la politica italiana al di là della vis polemica, spesso verbalmente violenta, che prevalentemente contraddistingue le sue attività, non è più in grado di procedere.
Il governo e i politici in generale non sembrano più in grado di elaborare un sistematico progetto di crescita con una visione di medio e di lungo periodo, che preveda strumenti strategici di sviluppo originali, innovativi e, soprattutto idonei ad incidere concretamente sul tessuto sociale ed economico degli italiani. Sarebbe veramente necessario uno straordinario “nuovo rinascimento per l’Italia”, capace di dare una svolta positiva ad un Paese fermo e privo di vitalità innovativa, che a volte, sembra quasi rassegnato a “galleggiare” nella mediocrità che lo contraddistingue per decrescita, inefficienza amministrativa e governativa, cieca ed asfissiante burocrazia, corruzione, deficienze e ritardi infrastrutturali, insicurezza, assenza di principi meritocratici, scarsi livelli di innovazione e di creatività.
Il Dna della politica italica è più avvezzo al dire e al litigio, più che al fare. C’è poco da stupirsi, quindi, se in questo stato di assenza di long term vision, in Italia chi è ricco sia sempre più ricco e chi è povero sia sempre più disperatamente povero. Quello che invece continua a stupire è che nonostante tali mediocrità, gli Italiani alla fine hanno la memoria corta alle elezioni. Scriveva J. Dewey: “Coloro che si occupano di politica non smettono di essere uomini: hanno interessi personali e interessi di gruppo da servire: quelli della famiglia, della cerchia e della classe cui appartengono”.
E allora? Allora l’italiano (ciascuno, partendo anche dalle piccole questioni, dal semplice porta a porta), deve imparare a ricominciare a fare politica attiva e concreta (che a mio parere è un ossimoro a causa del partitismo italiano), e a smetterla di delegarla supinamente ad altri: altrimenti può già avere oggi la cristallina certezza che la situazione economica per le famiglie e per le imprese peggiorerà sempre di più. Quindi la via maestra per salvare il Paese è una rivoluzione civile, che passi attraverso il sapiente utilizzo del terzo settore (oggetto di un’importante recente riforma legislativa), fatto di associazioni, movimenti, fondazioni, ossia gli unici soggetti rimasti, ormai, quali depositari di quella vitalità e di quell’idealismo necessari per una vera rinascita ideale ed etica dell’intero sistema-Paese. Perché le associazioni, i movimenti, le fondazioni, ecc., a differenza dei partiti, hanno come regola il conseguimento di obiettivi ben precisi, da cui discende un interesse specifico alla loro realizzazione.
Se contestualizziamo tali mie argomentazioni rispetto all’attuale panorama politico, avremo una “cartina di tornasole” sufficientemente stigmatizzante il momento storico involutivo del sistema democratico italiano. Tra le altre, ci sono due possibili vie da percorrere concretamente per contribuire alla realizzazione degli obiettivi di ripresa del Paese, soprattutto nello scenario economico che avremo nei prossimi mesi dopo l’emergenza sanitaria. Primo, la concreta implementazione di Zone economiche speciali (Zes) in tutto il Paese secondo una nuova evoluzione funzionale che ne privilegi l’essenza anche quali eccezionali incubatori istituzionali di scelte strategiche innovative, oltre che di eminenti strumenti di accelerazione dello sviluppo economico. Secondo, la creazione di un programma strategico per la realizzazione nel nostro Paese della cosiddetta “Orange economy”, per garantire la crescita sostenibile attraverso l’innovazione, la creatività, la cultura, e quindi, uno sviluppo che, dopo oltre duecento anni di progresso dell’umanità ininterrottamente codificato secondo un rigido approccio razionale a partire dall’Epoca dei Lumi, dia finalmente spazio a criteri e dinamiche di crescita che mettano il più possibile al centro l’uomo.
L’Italia è certamente un Paese straordinario nelle emergenze. Bisogna rendere l’Italia un Paese straordinario nel quotidiano. Questa è la sfida del nuovo millennio per gli “italiani appassionati”.