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Il coronavirus? Proviamo a rimanere (veramente) soli. La riflessione del prof. D’Ambrosio

Di Rocco D'Ambrosio

Inizio a nutrire seri dubbi se questo tempo possa essere di riflessione e silenzio. Non è tanto il lavoro da casa – per chi come me ha questa grazia – a creare problemi, ma la quantità di Whatsapp, messaggi, articoli, trasmissioni televisive. Forse l’assenza di relazioni fisiche ha determinato un aumento fuori misura di contatti e informazioni virtuali. Anche questo è un segno dei tempi, bello e brutto, utile e dannoso allo stesso tempo. Mai come oggi vale l’invito a praticare un “digiuno tecnologico”, almeno un’oretta al giorno: niente Tv, niente Internet, niente telefonate e Whatsapp; a casa o quando torniamo dal lavoro. Non tanto facile da farsi, ma forse più facile del ritrovarsi soli, terribilmente soli con se stessi. Non isolati, ma soli. Soli con chi? Con se stessi? Con le proprie paure e pensieri? Con il proprio cuore? Con il buon Dio, per chi ci crede? Risposte difficili, in tempi difficili.

Una cosa sola mi è abbastanza chiara: la saggezza nel tempo di crisi spinge a un ritorno alla propria interiorità, che sembra essere il più potente farmaco contro i virus di paure, stupidaggini, cattiverie, invidie, egoismi. Fu uno stato di crisi a determinare l’azione e il pensiero di Socrate. Il suo “Conosci te stesso” non fu un invito semplice, accettato con attenzione e gratitudine. Anzi, lo pagò con il rifiuto, il sospetto, la calunnia e la morte. Stessa storia con i diversi profeti ebraici: per loro, nello stato di crisi, è indispensabile il “ritornare a Dio” (verbo ebraico shuv, ritornare) e la “conversione” (teshuvàh), intesa come mutamento radicale, “inversione di rotta”, un “raddrizzare i sentieri” (Is 40,3-4).

Stessa storia con Gesù di Nazareth. Che, iniziando il suo ministero proclama: “Il tempo si è compiuto e il regno di Dio è vicino.  Metanoèite e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Il metanoèite lo traduciamo normalmente con convertitevi, caricando il termine, spesso, moralistico. Ma il greco metanoèite significa: “cambiate mente, cambiate pensiero”, viene da metànoia, dove nous significa “intelletto, mente, pensiero”.

In questi giorni, diciamo e scriviamo spesso che dopo il coranavirus niente sarà più lo stesso; tutto sta cambiando: relazioni, politica, economia, religioni, Europa, globalizzazione. Ed è terribilmente vero. Ma non è assolutamente automatico, né che il cambio sarà positivo o che impareremo dagli errori commessi nel presente e nel passato. Tre tradizioni culturali e religiose – mondo greco, ebraico e cristiano – ci ricordano che non esistono cambi automatici e fatalistici, che la storia è maestra solo per chi diventa discepolo, che il male dentro di noi sopravvive anche ai peggiori virus. E convive anche bene con i peggiori virus.

Le crisi svelano il meglio di una comunità nazionale: si pensi oggi al sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari, membri delle istituzioni pubbliche, forze dell’ordine, protezione civile, operai, semplici cittadine e cittadini che contribuiscono come e dove possono. Ma le crisi svelano anche il peggio di noi stessi e della nostra società. Si pensi agli sciacalli di questi giorni: sciacalli politici che approfittano della disgrazia per fare i bulli in Tv e carpire consensi, promettono collaborazione e dieci minuti dopo dicono il contrario oppure sono sempre in Tv a lamentarsi, invece di fare il proprio dovere; sciacalli mediatici che diffondo idiozie e falsità; sciacalli economici che incrementano affari sulla pelle dei cittadini (dalle mascherine alle attrezzature sanitarie) o speculano in borsa; sciacalli che diseducano con atteggiamenti riprovevoli; sciacalli religiosi che predicano eresie e stupidaggini su presunte punizioni divine e apocalisse alle porte oppure diffondono devozionismi deleteri on line. La lista potrebbe continuare. Non è il caso.

Il cambio di mentalità, la metànoia è una rude fatica: intender no la può chi no la prova, direbbe il Poeta parlando in un’altra fatica che è l’amore. Il nuovo mondo, dopo il coranavirus, nasce non domani, ma oggi. E l’interiorità è la sua strada maestra, l’unica. Ognuno attinga alla tradizione che gli appartiene, sia classica o ebraica o cristiana, e troverà, in sagge letture e lunghi silenzi, tanta pace e tanta forza, tanta metànoia. Mai, ancor più ora in questa crisi, siamo chiamati non ad imporre ad altri posizioni culturali o religiose, ma a condividerle. Ognuno ha i suoi maestri di interiorità profonda e di silenzio fecondo. Sono autentici nella misura in cui determinano una metànoia verso la solidarietà e il bene, che la Costituzione ci insegna; nella misura in cui ci rendono meno sciacalli. #andratuttobene solo se imbocchiamo questa strada.

Personalmente trovo Dietrich Bonhoeffer un grande maestro per questo momento. Ripeto: non il solo. Il pastore protestante, incarcerato in un lager nazista (diverso dal salotto di casa nostra o dal luogo di lavoro con maschere e guanti), scriveva, in un momento di continui bombardamenti e paure:

“In realtà, un po’ alla volta si impara ad assumere interiormente una posizione distaccata nei confronti degli affanni della vita; cioè, “assumere una posizione distaccata” ha in effetti un suono troppo negativo, troppo formale, troppo artificioso, troppo stoico. Ed senz’altro meglio dire: questi affanni quotidiani li accogliamo nel contesto della vita nel suo complesso. Qui osservo continuamente come siano pochi gli uomini capaci di albergare in se stessi molte cose contemporaneamente. Quando arrivano gli aeroplani, sono solo paura; quando c’è qualcosa di buono da mangiare, sono solo avidità; quando un loro desiderio non si realizza, sono solo disperati; quando qualcosa gli riesce, non sono più capaci di vedere nient’altro. Essi non colgono la pienezza della vita e la totalità di un’esistenza autentica; tutto ciò che è obiettivo e tutto ciò che è soggettivo si risolve per loro in frammenti. (…). All’opposto, il cristianesimo ci pone continuamente in molte dimensioni diverse della vita; noi alberghiamo in certa misura Dio e il mondo intero in noi. Piangiamo con chi piange e contemporaneamente gioiamo con chi è felice; ci preoccupiamo (sono stato nuovamente interrotto dall’allarme e ora me ne sto all’aperto a godermi il sole) della nostra vita, ma dobbiamo contemporaneamente avere dei pensieri che per noi sono più importanti di essa. Nella misura in cui ad esempio nel corso di un allarme veniamo spinti in una direzione diversa da quella della preoccupazione per la nostra sicurezza personale, cioè ad esempio nell’impegno di diffondere tranquillità intorno a noi, la situazione diventa completamente diversa; la vita non viene ridotta ad una sola dimensione, ma resta pluridimensionale ‑ polifonica. Quale liberazione è poter pensare e conservare nel pensiero la pluridimensionalità! Qui mi sono fatto quasi una regola, quando la gente si mette a tremare nell’imminenza di un attacco, di parlare solo del fatto che simili bombardamenti sarebbero molto peggiori se diretti contro piccole cittadine. Bisogna strappare la gente al pensiero unilaterale ‑ in certo modo come preparazione, ovvero per rendere possibile la fede, anche se veramente è soltanto la fede stessa a rendere possibile la vita nella pluridimensionalità, e dunque a farci celebrare questa Pentecoste al dispetto degli allarmi” (Resistenza e Resa).



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