E adesso che le scuole non riapriranno più il 3 aprile che si fa? “Facciamo come il Piccolo Principe e la volpe” risponde Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeutica. In che senso? “Dobbiamo imparare ad addomesticare” continua in una conversazione con Formiche.net la presidente della Fondazione Fabbrica della Pace e Movimento bambino onlus, nota al grande pubblico per libri come “Le parole dei bambini”, “Manuale anti ansia per i genitori” e “Generazione H”.
“Addomesticare, è qualcosa che abbiamo dimenticato. Vuol dire ‘creare dei legami’, lo spiega bene la volpe nel libro di Antoine de Saint-Exupéry: ‘Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila’. E non ho bisogno di te, dice la volpe al Piccolo Principe. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
È dura in quest’epoca da fobia per il coronavirus…
All’inizio i bambini sono molto contenti di rimanere in casa, sembra il week end, una domenica di festa. Ma piano piano che si va avanti loro si renderanno conto che è un’emergenza che preoccupa i genitori. Loro vivono di luce riflessa il comportamento degli adulti e, in questa fase, dobbiamo evitare che la pandemia diventi emozionale.
Quindi recuperare il senso degli affetti, come ha detto anche papa Francesco…
Esatto. In questa situazione di emergenza si possono avere due comportamenti, quello del padre siriano che mentre venivano giù le bombe aveva inventato un gioco per far ridere la sua bambina di 3 anni, come ne “La vita è bella”, oppure un atteggiamento che diventa una pandemia emozionale.
Come si fa?
Gli adulti, per primi, non devono cedere al panico e all’ansia. È normale che i bambini adesso cominceranno a desiderare di uscire, vedere i loro compagni, riprendere le loro abitudini, il gioco all’aperto.
Le pareti di casa, la convivenza forzata, nasconde una paura del futuro…
Di più, non solo del futuro ma anche del presente. Se ai bambini elimini le abitudini che sono un contenitore che li organizza anche a livello di educazione gli stai togliendo certezze. Le abitudini, i ritmi quotidiani, per loro sono delle garanzie di guida. La scuola, i compagni, i compiti, la tv, i videogiochi, lo sport pomeridiano sono degli appuntamenti troppo importanti nella crescita di un minore.
È un discorso che riguarda tutti, penso, non solo i bambini. Giusto?
Certo, pensiamo agli adolescenti che stanno perdendo molte attività d’incontro, di innamoramento. Ho telefonate disperate di ragazzini di 15 anni che non possono vedere il loro fidanzatino perché a ballare non possono andare più e non ci sono più occasione per incontrarsi. Pensiamo alle feste di compleanno in solitudine.
E come ne usciamo, non abbiamo strumenti…
Ce li abbiamo eccome. Dobbiamo affrontare il disagio e il cambiamento interiore. Gli essere umani devono imparare ad affrontare il distacco. Già nascere è un distacco, poi c’è quello della mamma che va fuori per lavorare o a fare la spesa e poi ritorna, poi i nonni che non li vedono più o molto poco. In più con il coronavirus c’è anche il problema di mantenere la promessa.
Che vuol dire?
Che se tu dici a un bambino: stiamo un mese in casa e poi si riparte ma poi non è così, diventa dura. Allora per questo dobbiamo fare come il Piccolo Principe e la volpe. Dobbiamo imparare ad addomesticarci, far capire che ci vogliono dei passaggi e dei tempi prima che tutto torni alla normalità. E ricordarsi che il bello del deserto, come dice il Principe, è che nasconde da qualche parte un pozzo.
Cioè la speranza che tutto finisca…
Di più, dobbiamo mettere nella condizione per i nostri figli che questo sia un momento geniale, di ricordare questi giorni passati in casa come si faceva durante la guerra, come qualcosa di unico nella loro vita. Adesso quello che sicuramente non va fatto è evitare il contagio emotivo. La pausa serve per capire se stessi e gli altri e anche con la propria spiritualità, per chi crede. Non c’è solo l’economia da salvare, ma anche quella dell’anima.
Professoressa però la paura è un sentimento antico, qui il problema è che il nemico è invisibile?
È vero, il mondo è una pandemia. La madre di tutte le angosce umane è l’angoscia di morte. Sappiamo quando nasciamo ma non quando moriremo, può capitarti per una malattia, un incidente, per vecchiaia, perché decidi di non andare avanti. La morte è il vero nemico invisibile. Noi dobbiamo educare le persone e noi stessi ad affrontare questa angoscia. E il coronavirus ripropone perfettamente questa angoscia di morte su cui è costruita ogni difesa umana.
Così è dura, però…
È la realtà, il coronavirus lo ha solo reso manifesto. Le nostre difese quali sono? C’è quella spirituale: morirò ma ho un’altra vita. Quella demografica: morirò ma i miei figli continueranno. Quella estetica: morirò ma la bellezza, l’arte, la musica, la poesia, il teatro non moriranno mai. Quella scientifica: morirò ma gli scienziati proseguiranno a scoprire il segreto della vita. Quella distruttiva: morirò ma con me tutti quanti e così divento il Signore della Morte. Il coronavirus non è niente di nuovo rispetto a tutto questo, ci sta solo facendo aprire gli occhi, proprio per cercare quel pozzo nel deserto.