Ci sono generazioni a cui non è stato risparmiato niente, come se un concentrato di congiunzioni astrali negative, di quelle che si abbattono sul suolo terrestre con la frequenza del fantomatico megameteorite che avrebbe polverizzato i poveri dinosauri (e dunque mai), si fosse coagulato sugli umani.
Si era appena conclusa la prima guerra mondiale, quella del 15-18, quella delle trincee e delle baionette e della ferocia di una morte che si poteva guardare direttamente nella faccia del nemico, quella che lasciò sul campo non meno di 17 milioni di caduti, quando nel 1919 scoppiò la pandemia della “spagnola”, una specie di antenato del Covid-19 che infettò almeno 500 milioni di persone (secondo altri conteggi anche molte di più), praticamente un quarto del genere umano.
Quando nel 1920 la pandemia cessò, il 2,5% della popolazione mondiale era deceduta. Così si sommarono vittime della guerra con le vittime della pandemia in un continuum devastante. Gli italiani morti in guerra furono 1.240.000 ( il 3,5 % della popolazione), quelli morti d’influenza spagnola non meno di 600 mila ( l’1,6% del totale). Non c’era la tv e neanche i social a spacciare la dose di ansia quotidiana e, d’altro canto, non c’erano neanche le case per tutti dove andarsi a ricoverare in attesa che passasse la disgrazia: la malattia entrava nella gente senza preannunciarsi e senza lasciare speranze.
La pandemia fu il catastrofico prolungamento della Grande guerra, predisposto dalla malnutrizione e dalla fragilità immunitaria: alla fine le conseguenze nefaste della guerra sarebbero effettivamente durate dal 15 al 20, facendo 67 milioni di morti. La “spagnola” fu una brutta specie di influenza, con qualche strana caratteristica: pare che la morte venisse provocata da una insufficienza respiratoria causata da una forte reazione immunitaria degli organismi più giovani, tale da creare un cortocircuito letale di chitochine e globuli bianchi.
Più tutelati, paradossalmente, restavano gli organismi dotati di un sistema immunitario più fragile, come gli anziani e i bambini, al riparo dall’ipercitochinemia. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi col Covid-19! Quando finì tutto l’età media degli esseri umani nel mondo si sarebbe accorciata dappertutto, da due anni a salire a seconda della difficoltà sociosanitaria dei paesi colpiti. Sono passati cent’anni, avremmo preferito ricordare la ricorrenza magari con un convegno scientifico e non ripercorrendone le dinamiche pandemiche.
Ma il problema c’è e cent’anni di progressi scientifici e tecnologici non sono serviti a metterci al riparo dai rischi. Anzi, a ben vedere, gli strumenti di contenimento che stiamo adoperando sono gli stessi in voga al tempo delle grandi pestilenze di cinque-seicento anni fa: chiudetevi in casa e pregate il Buon Dio che finisca presto. Naturalmente sono cambiati i numeri e la velocità di risposta, e questo è innegabile.
Che il mondo, oggi trasformato in un set cinematografico globale dove si sta girando l’ennesimo b-movie sul virus letale nello scenario post-atomico, possa imparare qualcosa da questa sciagura è auspicabile ma non affatto scontato: chiusa la prima guerra mondiale la stessa generazione di sopravvissuti ne fece una seconda. E si contarono stavolta quasi 70 milioni di vittime. Solo allora si capì che bisognava cambiare registro e nacquero le Costituzioni democratiche, la Dichiarazione Universale dei Diritti e l’idea della solidarietà tra esseri umani. Ecco: ripartiamo da qui.