Sono davvero attendibili i dati che ogni giorno la protezione civile dirama alle 18 con il numero di contagiati dal coronvairus? La domanda se la pongono sui social e sui giornali esperti di statistica così come medici e virologi che, ogni giorno dall’inizio dell’epidemia poi diventata pandemia, tentano di fare previsioni su quando sarà il picco dei contagi o cercano sistemi per appiattire la curva della diffusione del virus in modo da evitare il collasso del Sistema sanitario nazionale.
Eppure proprio durante la conferenza stampa odierna dalla sede della Protezione civile il professor Roberto Bernabei del comitato tecnico-scientifico ha sottolineato che non è possibile, al momento, fare paragoni tra le vittime dei diversi Paesi, perché non tutti classificano le morti da coronavirus allo stesso modo.
LE PAROLE DI BERNABEI
Perché così tanti casi in Italia ? Non è possibile dare una risposta ora, né fare una vera e propria stima. Ne è convinto Roberto Bernabei, docente di Geriatria all’Università Cattolica di Roma, e lo ha spiegato durante la conferenza stampa della Protezione civile che si è tenuto oggi alle 18. “Se in Germania mi dicono morto per coronavirus solo il 28 enne morto per polmonite interstiziale da conoronavirus alla fine dei giochi hanno 5 casi. Ma il 90 enne morto con il coronavirus che ha la cardiopatia ischemica” ed altre patologie come si classifica? Insomma, aggiunge Bernabei “quando potremo fare anche un’analisi ex post capiremo anche queste cose”.
I DATI REGIONALI E L’INTERROGATIVO DI CARTABELLOTTA
Non solo il confronto con gli altri Paesi, però, risulta essere complicato, ma anche quello relativo ai dati regionali. A porsi il quesito è stato il prof. Nino Cartabellotta, presidente di GIMBE, una fondazione che si occupa di ricerche e analisi sui dati medici che in queste settimane ha concentrato la sua attenzione sui numeri relativi al contagio da coronavirus.
Cartabellotta, molto attivo con la Fondazione da lui presieduta e sui social, attraverso cui condivide dati e riflessioni, rivolge la sua domanda a Roberto Burioni. “Caro @RobertoBurioni – scrive in un tweet – questa la situazione a ieri. La catena di comando unica non sta funzionando: non capisco più chi analizza i dati, chi fa i modelli previsionali, chi decide, chi organizza. Unico dato certo è che la gente muore”.
Allegato al tweet, un grafico elaborato dalla Fondazione con i numeri dei contagiati in Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, più il dato aggregato delle altre regioni. Numeri che crescono sempre, senza sosta, e da questo l’interrogativo di Cartabellotta: cosa non sta funzionando?
LA DIFFUSIONE DEI DATI
Secondo il presidente di GIMBE ci sarebbe un problema di “disomogeneità e frammentazione” dei dati sui contagi che rispecchiano la situazione in cui versa la sanità italiana. Insomma, l’eccesso di autonomia delle Regioni da una parte “incapacità di indirizzo e verifica del governo” ostacolano i diritti civili garantiti dall’articolo 32 della Costituzione (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”).
Dello stesso avviso anche Matteo Villa, ricercatore all’Istituto per gli studi di politica internazionale, che sempre su Twitter pubblica stime e numeri di contagi e terapie intensive delle varie regioni italiane. Secondo Villa, ad esempio, i dati provenienti dalla Regione Lombardia non sono più attendibili, perché i dati son troppo confusi e analizzarli per interpretare l’andamento dell’epidemia non è possibile.
L’ALTO NUMERO DI DECESSI
Il numero di decessi è salito ulteriormente (4.032, + 627). Anche su questo il prof. Cartabellotta ha una risposta: l’alto numero di decessi (soprattutto in Lombardia) dipende anche dal numero di posti in terapia intensiva in continua diminuzione. “In Lombardia si muore più che in altre regioni perché il Servizio sanitario non è più in grado di gestire lo tsunami che si è abbattuto sulle terapie intensive”, spiegava Cartabellotta al Wall Street Journal gli scorsi giorni.
LA POSIZIONE DI BURIONI
Non si esprime nel merito della diffusione dei dati Roberto Burioni, virologo in prima linea già dai primi giorni dell’emergenza, quando ancora la zona rossa non era stata estesa a tutta l’Italia ma solo alla Lombardia e ad alcune province limitrofe. Premeva, Burioni, per la sua estensione, sottolineando la pericolosità del contagio. Al di là dei dati, però, Burioni sottolinea l’imperativo che nelle ultime settimane si ripete a gran voce: restate a casa.
In un articolo pubblicato sul suo sito, Medical Facts, lo scorso 15 marzo Burioni sottolineava poi quanto detto anche dallo stesso Cartabellotta: nel suo articolo il virologo parlava delle percentuali di contagi e decessi in Lombardi e Veneto molto diverse tra loro e si domandava quale potesse essere la ragione. “L’ondata massiccia di infezioni ha portato a effettuare in Lombardia un maggior numero di tamponi sui pazienti più gravi […]. Il numero di casi in Lombardia è probabilmente molto maggiore, e verosimilmente la letalità nelle due regioni è simile: quello che è diverso è il numero di pazienti infettati che viene rilevato. Pochi in Lombardia, di più in Veneto. In altre parole in Lombardia si vede solo la punta (meno fortunata) dell’iceberg”.