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Che cosa fare contro il femminicidio

Pubblichiamo un’analisi del giornalista, scrittore e conduttore tv Federico Guiglia uscito oggi su L’Arena di Verona, il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.

Impossibile separare i fatti dalle opinioni, quando si parla di femminicidio. Basta la statistica dei delitti per cogliere la gravità del fenomeno: negli ultimi cinque anni, ogni tre giorni, in media, una donna è stata uccisa da un uomo in Italia. Il dato dell’intero 2012, per intenderci, è di 124 donne ammazzate e 47 ferite.

UNA MACABRA FIRMA
Agli omicidi, che nella maggioranza dei casi maturano tra persone che si conoscono e in prevalenza tra le mura di casa, bisogna aggiungere una novità di inaudita barbarie: lo sfregio della vittima, la donna ustionata con l’acido dall’aggressore di turno, e mascherato per non essere riconosciuto. “Firma”, così, per sempre la sua violenza sul volto o sul corpo della donna e poi scappa: tre casi registrati rispettivamente a Vicenza, in provincia di Milano e a Pesaro tra aprile e maggio scorso (e un quarto a Roma a parti rovesciate: vittima un uomo).

LA RISPOSTA AL FENOMENO
Ma che sta succedendo in questo nostro mondo, e che fare contro la violenza dei bruti? Intanto e finalmente s’è mosso il Parlamento. E’ di pochi giorni fa, ancora a maggio, il primo e anche simbolico segnale di reazione della Camera dei deputati, votato all’unanimità: la ratifica della cosiddetta convenzione di Istanbul. L’Italia è diventata la quinta nazione europea a muoversi in difesa delle donne, dopo Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo. In attesa del voto definitivo del Senato, la convenzione poggia su un’ottantina di articoli che contrastano ogni forma di violenza “fondata sul genere”, equiparandola a una “violazione dei diritti umani” ed estendendo il concetto ad atti di natura “fisica, sessuale, psicologica od economica, comprese le minacce di compiere tali atti”. Dunque, anche danni, sofferenze, costrizioni: l’anticamera della violenza viene prevista nel dettaglio, con l’obiettivo di “prevenire, indagare e punire i responsabili”.

UNA PRONTA REAZIONE
Ma aspettando che la legislazione faccia il suo corso (per valere, la convenzione dovrà essere ratificata da almeno dieci Stati, di cui otto del Consiglio d’Europa), resta l’interrogativo concreto e decisivo: che deve fare, ora e subito, una donna per non correre rischi? Qual è lo strumento più efficace a cui ricorrere, prima che sia troppo tardi?

COSA FARE IN CASO DI AGGRESSIONE
In una intensa tavola rotonda che si è svolta a Brescia proprio in concomitanza con l’approvazione della convenzione di Istanbul, e che è stata promossa dalla neonata associazione “Bona Dea” (si batte per tutelare le vittime di maltrattamenti e violenze), alcune riflessioni hanno lasciato il segno. La prima è stata fatta da Carlo Caromani, comandante della Polizia provinciale di Brescia. Può essere riassunta con l’immagine del “cartellino giallo” all’aggressore vero o potenziale: l’ammonimento del questore previsto dal nostro ordinamento per atti persecutori, ma poco conosciuto e utilizzato perfino dagli avvocati. Eppure, secondo l’esperienza di Caromani, molto utile. Solo il dieci per cento delle persone ammonite – s’è accertato – è stato successivamente sottoposto a procedimento per il reato di atti persecutori. Questa specie di diffida, dunque, può interrompere l’attività persecutoria nella maggior parte dei casi.

IL RUOLO DELLE FORZE DELL’ORDINE
Funziona così: la donna espone i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, sollecitando l’ammonimento dell’autore delle persecuzioni o minacce. Non c’è bisogno – ecco un piccolo, grande vantaggio – di trovarsi di fronte a una vera e propria ipotesi di reato, affinché il questore intervenga. E intervenga a ragion veduta, cioè constatando la fondatezza del racconto, ma senza l’obbligo del contraddittorio con l’accusato. Sono, quindi, sufficienti gli indizi consistenti di una condotta “aggressiva e disdicevole” – parole del comandante- da parte del persecutore. In più, il questore può adottare provvedimenti per l’eventuale presenza di armi e munizioni. In caso di reiterazione, si potrà procedere d’ufficio (invece che con querela di parte) per il reato di atti persecutori. E con la pena aumentata fino a un terzo.

L’AMMONIMENTO DEL PERSECUTORE
In sostanza, l’ammonimento fa sì che il persecutore, il quale viene convocato e appunto “ammonito” a voce dal questore, da quel momento saprà che le autorità di polizia hanno acceso i riflettori su di lui. E la donna vittima si sentirà spalleggiata dalle istituzioni, anziché abbandonata a se stessa o non creduta in famiglia o dagli amici in comune. Inoltre, non sarà necessario fornire prove inconfutabili da giudizio penale, spesso difficili da trovare, perché le molestie per loro natura avvengono quasi sempre senza testimoni, a tu per tu. Stando alla testimonianza sul campo di Caromani, l’avvertimento del questore disincentiva il comportamento del persecutore, perché a quel punto sa di rischiare d’essere indagato per il reato di atti persecutori a prescindere dalla volontà della donna offesa. Che spesso, come ha osservato il Consiglio superiore della magistratura, “è soggetta a tentativi, più o meno diretti, finalizzati alla ritrattazione della denuncia malgrado la protezione della procedibilità irreversibile”. E se l’aggressore continua nella condotta, potrà essere anche arrestato in caso di flagranza, proprio perché già ammonito in precedenza.

LE ISTITUZIONI FANNO SQUADRA
L’altra riflessione sul tema che conosce, anche lui, da esperto, l’ha fatta il procuratore aggiunto di Brescia, Sandro Raimondi. Il quale ha spiegato l’importanza della collaborazione fra le istituzioni a vario titolo preposte, sul modello del già esistente protocollo denominato “Progetto di sostegno ai soggetti deboli”. Ma ha indicato anche il dovere della preparazione per i diversi interlocutori chiamati a occuparsi del fenomeno. Cartellino giallo, competenza e gioco di squadra: la violenza si batte anche così.

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