Un terzo di “No”, grosso modo, fa più di un terzo di soddisfazione. Dall’altra parte, la parte del “Sì”, c’era quasi tutto: il 97 per cento dei deputati, la totalità dei capi dei partiti, la facilità dell’argomento, lo spirito del tempo, le forbici imbracciate dai grillini, la lunga semina dell’antipolitica. Per i professionisti della demagogia si trattava, al più, di una passeggiata.
Personalmente, non mi sono mai fatto illusioni che il No potesse vincere. Poteva, però, battersi. E lo ha fatto. Con risultati che meritano di non essere lasciati cadere, e riscuotendo una curiosità politica che non deve essere dispersa.
L’argomento, va da sé, non è il numero dei parlamentari. È la qualità della rappresentanza. Si tratta di decidere se ha ancora un senso la delega, il faticoso legame che si intreccia tra chi dà e chi chiede il voto. E cioè, appunto, quella democrazia rappresentativa che è stata il cuore della rinascita del Paese agli albori della prima Repubblica e che è diventata il cuore della disputa su come costruire una Repubblica migliore l’indomani.
Il sottinteso di questa “riforma”, non a caso accompagnata dal minaccioso sventolio delle forbici sul piazzale di Montecitorio, è che la politica sia principalmente un costo. E dunque che ridurla per quanto si può ai minimi termini sia un vantaggio, oltre che un merito. Questa suggestione – chiamiamola così, generosamente – fa seguito ad anni e anni di predicazione demagogica e populista che è arrivata ormai a pervadere il nostro discorso pubblico fino a trovare la sua eco nei palazzi del potere di ieri e di oggi.
Si tratta in realtà di una scorciatoia. Percorrendo la quale il nostro sistema-Paese ha già commesso un cospicuo numero di errori. E non vi è dubbio che anche molti dei più discutibili provvedimenti economici (reddito di cittadinanza, quota 100) siano figli della stessa filosofia. È la solita attitudine, vecchia e logora, che porta ad imboccare sempre la via più facile, contando che l’applauso di oggi sia così fragoroso da far passare sotto silenzio il costo che saremo chiamati a pagare domani o dopo.
Ora, per tornare al voto di oggi, che un terzo di elettori ci avvisi che questo modo di procedere, apparentemente così “facile”, e ovvio, e popolare, forse non porta da nessuna parte deve essere considerato un segno incoraggiante. Se non altro perché rende evidente che ci sono ancora ampie risorse civiche che sono dislocate fuori dal mainstream del populismo imperante.
Certo, per arrivare da qualche parte, ci vorrà tempo. E ce ne vorrà molto. Ma se l’antipolitica ha messo anni e anni per giungere a destinazione, non ci si poteva illudere che all’antipopulismo bastassero una intera domenica e mezzo lunedì per farsi strada.