Un virus e viene giù tutto. Si, tutto, pure l’economia e in tutto il mondo!
Nel mondo, oltre cinque miliardi di persone ne sono rimaste invischiate; quando da questa pandemia saremo fuori, toccherà trovare il modo di non cadere in quella della penuria, a cui già sembrava costretto il mondo dalla “stagnazione secolare”.
Pandemia della penuria, appunto, che costringerà a rifare i conti con i modelli economici già utilizzati, oggi sottoposti a stress test.
Già proprio di quell’economia che, ben prima del virus, risultava infettata dagli squilibri.
Oggi con il virus, produzione e consumo fanno fatica ad incontrarsi, ancor più darsi la mano per la ratifica del prezzo. Tanto che, seppur in modalità tecnica, si possono generare addirittura incubi.*
Caos, insomma. La successione concitata delle iniziative prese dai leaders del mondo, per ripristirare l‘ordine, indebiterà il domani e chi dovrà abitarlo, più dell‘oggi.
Mario Draghi, ex di lusso Bce, di quanto fin quì agito e dell’agitato di domani fa la sintesi al Financial Times: “Agire subito senza preoccuparsi dell’aumento del debito pubblico… bisogna immettere subito liquidità nel sistema e le banche devono fare la loro parte, prestando danaro a costo zero alle imprese, per aiutarle a salvare i posti di lavoro. Proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità.”
Giust’appunto debito che, quando “troppo in alto sal cade sovente….”; questo empasse trova detrattori e sostenitori.
I primi vorranno ridurlo a colpi di patrimoniale, senza se e senza ma; i secondi, più realisti del re, attrezzeranno moratorie… magari una Banca Centrale del Mondo, definita all’uopo, che monetizzi il debito acquistando sul mercato “titoli di debito perpetuo, zero coupon” emessi… da tutti quelli che hanno l’acqua alla gola.
Verrebbe da dire sia come sia se non fosse che… il domani sarà come faremo che sia!
Dunque, faremo: Draghi, cambiando il registro della politica monetaria del controllo di prezzi, cambia pure l’indirizzo; le azioni, di “sussidio alla sopravvivenza”, vanno recapitate al capitale e al lavoro!
Già, per quanto la congiuntura lo esiga, il vecchio vizio non si scorda mai; al consumo, inteso ancora come una funzione accessoria del produrre, vanno solo gli spiccioli.
Tant’è: il credito del proferente e il tono del proferito, non ammettono repliche ma… tra quest’oggi e il come è stato lo ieri, qual domani si speme e tocca divinare?
Approposito del divinare, l’economia post Covid-19 riuscirà a trovare sostegno adeguato nelle politiche monetarie e fiscali, all’uopo adottate in tutto il mondo? Riuscirà, insomma, così facendo a sanare quel gap dell’out put che già sfiancava quella di prima?
Do un’occhiata al modo mio e vi dico.
Dunque, la crescita dovrà continuare a farsi, come prima, con la spesa aggregata ma… con un potere d’acquisto rifocillato proprio da queste ordite politiche. Una moneta insomma, da mettere in tasca, che sia adeguata a ruolo di ciascuno degli aggregati.
Una quantità di moneta che dovrebbe, ad esempio, sanare lo squilibrio fra quella già nelle tasche dei titolari del capitale e quella che ha chi lavora; quella stessa che ha generato l’altrettanto poderoso squilibrio nella propensione al consumo, genitore della disparità nel potere d’acquisto.
Una chicca ne tira un’altra: l’aggregato delle Imprese, a cui toccherà fare la spesa per investimenti ma che vedrà, con la pandemia, aumentare ancor più la capacità produttiva inutilizzata, verrà convinto dall’efficacia di queste politiche a fare la sua?
Alfin, l‘ultima: tra il debito passato, quello futuro e la riduzione degli introiti conseguenti alle politiche fiscali in itinere, potrà l’aggregato Pantalone fare la spesa pubblica?
Egregi divinatori, cotante domande attendono adeguate risposte.
Nel fattempo, per non soccombere ai cattivi presagi, tocca invece trar lezione da come si stesse appunto in quel prima, prossimo alla recessione, ancorchè nel recedere d’oggi per non dover ristagnare domani.
Cari miei, una premessa vi devo: osservare il reale, attraverso l’evidenza empirica, mi consente di eliminare le viscosità mostrate dai modelli previsivi che sono stati, in alto loco, fin qui utilizzati.
Giust’appunto, quell’evidenza di come si stesse prima della pandemia: sovraccapacità dell’impresa, sottocapacità della spesa, affrancamento dal bisogno; redditi insufficienti, sorretti dal debito oltre ogni ragionevole limite.
Il prezzo fatto dal mercato, per tal impiego dei fattori produttivi, risultava alterato dalle azioni messe in campo per stroncare la deflazione. Il gap dell’out put lo grida; strepitano invece i prezzi inflazionati fatti da altre asset class: azioni, obbligazioni, valori immobiliari.
Questo bug del “prezzo in-giusto”, che ci aveva fatto entrare nella crisi del 2007 e che ancora attanaglia, ci sbatte oggi all‘inferno.
Una sequenza non occasionale mostra la successione che mortifica la produttività del sistema:
Dall’affrancamento dal bisogno i Consumatori ricavano libertà di azione; l’indebitamento li imbolsisce. La mancanza di risparmio, da un lato, limita l’efficacia dell’esercizio di consumazione nel gestire il controllo dei prezzi; sottrae risorse, dall’altro, per quegli investimenti industriali che migliorano la qualità del prodotto, riducono i costi e i prezzi.
Il credito, elargito come se piovesse, ha rifocillato tutto e tutti salvando dal giudizio del mercato aziende zombie, proprio quelle che più concorrono a limitare l’impiego produttivo delle giovani generazioni più attrezzate del capitale umano e sociale per migliorare l’efficienza del produrre e per consumare che, tenute fuori dall’intero processo produttivo, aumentano ancor più il gap dell’out put del sistema.
In quest’oggi poi, contratto nella pandemia, lo sconquasso del lock down aggraverà il già grave:
fermata la produzione, le Imprese potranno ridurre l’eccesso in magazzino pagando il prezzo di una maggiore capacità produttiva inutilizzata; i Consumatori, non potendo far la spesa, vedranno ridursi il vantaggio dell’affrancamento dal bisogno prendendo in carico lo svantaggio di non poter fare neanche gli acquisti di bisogno.
Il tasso di occupazione, già al 65%, precipiterà a far mancare, ancor più, quel potere d’acquisto necessario a tutti per fare la spesa.
Il debito che verrà impiegato per salvare la baracca, ad oggi inestimabile, verrà ad aggiungersi a quei 255.000 mld di $, reflazionando ancor di più il mondo. L’Institute of International Finance stima un raddoppio dei deficit pubblici; l’incidenza del debito globale sul Pil balzerà in un solo anno dal 322% al 342%.
Debito d’oggi che aggraverà ancor più il domani di quelle giovani generazioni, già zavorrate dall’onere contratto per gli studi che attrezzano il loro capitale umano; che avranno ancor meno occasioni per lavorare e consumare.
Botte, corna e chitarra rotta, insomma; non solo la loro, magari quella di tutti i suonatori!
Alla fine della fiera un mercato, ancor più opaco e inefficiente nel fare il prezzo, saprà farlo?
Potràquan do tornerà ad ospitare chi domanda e chi offre; ci riuscirà, quando i venditori di merci e chi ne avrà bisogno avranno trovato l’accordo per darsi la mano.
Prezzo appunto per gli uni da incassare, per gli altri da poter pagare.
Si, esattamente come prima. Di un prima del prima perché lì almeno si riusciva a trovare quell’equilibrio che ha consentito crescite sane.
Nel buio pesto d’oggi invece… la butto là: dopo il lockdown sussisteranno ancora le condizioni di base per poter dar corso a tal appetita crescita?
Beh, gli impresari avranno ancora, seppur ammaccato, il capitale come pure le strutture d’impresa; disporranno ancora delle competenze e di quegli incoercibili animal spirits per fare la loro parte.
I consumatori, per far la loro, dovranno rifischiettare la sempiterna tiritera mettendo in campo il rinato bisogno; avranno la riserva delle emozioni, le passioni finanche le esperienze da poter soddisfare. Per strafare, consumando l’acquistato, potranno dare la stura a quelle stesse imprese nel riprodurre, dando continuità al ciclo; con l’Iva pagata finanzieranno parte della spesa pubblica; se riusciranno a tenere in tasca il resto, investito, finanzierà gli investimenti delle imprese.
Con cotanto fare genereranno i 2/3 di quella domanda aggregata che genererà altrettanta ricchezza; quel terzo che toccherà ad altri fare, lo sovvenzioneranno.
Per far che tutto questo “valore” possa manifestarsi compiutamente impiegheranno risorse ancor più scarse: il Tempo, l’Attenzione, l’Ottimismo, il Denaro.
Un concorso individuale, insomma, alla produttività generale che non ha eguali!
Concorso, non vi giunga nuovo, che verrà depotenziato dalla diversa propensione al consumo dei singoli; frutto del diverso remunero messo in tasca dai “fattori” che operano nella produzione.
Bene, per cotanta inefficienza un quesito, prodromo al dopo, rimbomba: quale economia di mercato potrà permettersi ancora il lusso, in sede di trasferimento della ricchezza generata dalla spesa, di remunerare i fattori che hanno concorso a crearla escludendo chi l’abbia de facto generata?
Di dare risposta compiuta al rimbombo dovrà farsi carico la comunità internazionale; quella che, abbeverandosi con precetti scaduti, ha fin qui tirato a campare.
Dovrà, appunto, darsi da fare per far sì che quell’economia di mercato, che in altri tempi ha mostrato di esser in grado di generare il massimo della ricchezza e nelle forme acconce distribuirla, torni a fare al meglio quel che dovrebbe saper fare.
Se l’indifferibile “fattore consumo” , per la continuità del ciclo, attribuisce valore ad una domanda scarsa occorre poterne stimarne il prezzo, chi poi dovrà intascarlo, come e chi dovrà pagarlo.
Diamo un’occhiata: se prima, nell’Economia della Produzione, si lavorava per guadagnare, nell’Economia dei Consumi deve trovare ristoro l‘esercizio di consumazione per avere a sufficienza da spendere; un reddito di scopo, insomma, che integri l’insufficienza di quello incassato con il produrre!
Beh, se tanto può dar tanto, la Politica può/deve attrezzare l’ambiente normativo per un’economia capace di resistere oltre alle congiunture che la scrollano, anche ai cigni neri dei giorni d’oggi.
La cornice in UE c’è.
L’art 3, par. 3, del Trattato sull’Unione Europea, ha stabilito la costruzione del mercato interno basato su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e su«una economia sociale di mercato fortemente competitiva».
Principi generali, insomma, che possono servire da sponda per ancorare la norma su “l’economia resistente”. Norma che già ritenni necessaria per fornire sprone all’Impresa nel dar corso ad una riconversione delle strutture che la organizzano, ad oggi non più procrastinabile.
Giust’appunto per non procrastinare si rende spendibile, dentro i Parlamenti nazionali, la proposta di Legge per disporre di un mercato efficiente che sappia fare al meglio il prezzo; che disponga di allocare le risorse economiche generate dalla crescita per tenere adeguato quel potere d’acquisto che consenta l’esercizio di ruolo dei diversi operatori della spesa aggregata.
L’adozione della norma renderà, de facto, appetita la costituzione di quell’Azienda “Libero Mercato Spa.”
Suvvia, proprio quella Spa che capitalizza onori ed oneri e, in punta di diritto societario, “offre a tutte le persone la possibilità di contribuire all’attività economica e di condividerne i benefici”; no non lo dico io, lo dice l’Fmi.
Un’azienda, insomma, pro-crescita che agisce per tenere in equilibrio produzione e consumo, impiegando al meglio le risorse produttive degli addetti e l’adeguata allocazione delle risorse di reddito per sostenere la crescita e generare ricchezza.
Agenti economici vi agiscono con ruoli integrati per la produzione dell’offerta, la generazione della domanda, del commercio e dell’acquisto, fornendo distinto contributo a quella spesa aggregata che fa la crescita.
Il remunero degli operatori, che compensa quel diverso contributo, andrà speso nel “circuito aziendale“ per rendere fluido e continuo il ciclo produttivo.
Giust’appunto un marchingegno societario che disponga l’adeguata capitalizzazione degli azionisti mediante una diversa allocazione della ricchezza** colà generata.
La Politica, per caldeggiarne l’istituzione, dovrà farsi carico di attrezzare “norme di vantaggio fiscale” che ne rendano conveniente l’adozione. Norme affinchè il Mercato, quando non impallato dai meccanismi reflativi, sia in grado di poter fare il miglior prezzo tra le parti in causa remunerando la produttività di ciascun agente per migliorare la produttività del tutto.
Tocca ribadirlo: ci sono Imprese che già lo fanno. Hanno attrezzato business pro-crescita che consentono di far profitto quando, con l’acquisto delle loro merci, i Consumatori rifocillano il potere d’acquisto.
Funziona. Aumentano la produttività d’esercizio “associando” quella implicita all’esercizio di consumazione; la fidelizzano attraverso il remunero delle risorse scarse impiegate nel fare la spesa, incassandone pure un vantaggio competitivo.
Per far sì che l’appetito per le altre Aziende venga mangiando, s’ha da tornare pure a metter mano agli attrezzi del mestiere della Politica: la leva fiscale per re-distribuire vantaggio agli aderenti la Spa, svantaggio ai renitenti.
Per lenire il colpo a quei renitenti toccherà sussurrar come, tra l’affrancamento dal bisogno e/o il potere d’acquisto insufficiente per dare ristoro ai neo bisogni, la domanda resti l’unica merce scarsa sul mercato. Come insomma, pur dopo il mondo pandemizzato, continuerà ad esservi più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre.
Bene, nell’universo produttivo dell’Economia dei Consumi, il “paradigma del vantaggio comparato”, proprio quello che mi suggerì nonno Rizieri, dovrà fornire la regola per poter dare a Cesare quel ch’è di Cesare.
Chi poi vorrà rappresentare queste istanze potrà intascare un cospicuo dividendo elettorale pagato da tutti i cesari del mondo e che farebbe tornare a crescere l’utilità marginale di una politica, altrimenti marginale.
Approposito, la pandemia spinge pure a rivedere i processi innescati dalla globalizzazione aprendo una questione grande così: quella delle catene globali del valore che rischiano di venire squassate, con gli annessi profitti, degli affiliati alle filiere.
Già, proprio quel profitto che, nell’economia lineare ed aperta, remunerava il rischio d’impresa, dentro quella circolare e continua, intrappola risorse sottraendole alla crescita.
Diamo un’occhiata: dentro le filiere produttive si trovano ficcati il titolare del prodotto, i fornitori di materie e quelli dei materiali; chi fornisce i macchinari, i designer nonché quelli della pubblicità e quelli del marketing; ci stanno i fornitori di credito, pure quelli della logistica, giù fino ai commercianti, tutti in credito di rischio che, a compenso, reclamano il profitto.
Orbene, rischio per rischio, quale Impresa vuol correr quello, con la pandemia, di trovarsi costretto nelle catene di approvvigionamento del vecchio paesello che è tanto bello?
Ci siamo, l’ora batte. Un modo nuovo della produttività s’affaccia: quella interfattoriale. Per schivare la sorte del campanilismo di ritorno, tocca investire il profitto da rischio per remunerare chi, con la spesa, quel rischio lo abbatte.
Niente paura: nell’Economia dei Consumi, proprio dove l’esercizio dell’acquisto e della consumazione chiudono il cerchio, dando continuità al ciclo produttivo, viene sottratto rischio all’impresa.
Il remunero del rischio, riallocato per dare sostegno alla domanda, tiene attiva la funzione consumo; per i Produttori un investimento che rende efficiente la gestione dei fattori della produzione, garanti dell’utile d’impresa. Se viene a ridursi il prezzo delle merce si rende competitivo il prodotto; viene rifocillato il potere d’acquisto per poter avere ben più di quel-che-serve-per-vivere associando, insomma, l’acquirente alla „ditta“.
Già, solo con i Consumatori, azionisti della filiera, le catene potranno compiutamente approvvigionare il valore sventando le “catenelle caserecce” che legherebbero chi, proprio nel globo interconnesso, trova il meglio tra i multifattori del vantggio comparato; aggregarli per confezionare al meglio ed esportare.
Signori, il tempo stringe. Questo Trattato che fin ieri aveva l’ambizione di poter fornire gli input per riparare il danno, generato all‘economia da una stagnazione congenita, oggi può farsi antidoto economico/produttivo affinchè la pandemia Covid19 non degeneri in quella della penuria.
* 21 marzo. Il Future, scadenza maggio, sul petrolio misura il disastro causato dal forte divario di fondo tra offerta in eccesso e domanda prosciugata a causa del blocco delle attività da coronavirus. Gli stock di greggio poi sono pieni; le petroliere spesso non sono in grado di svuotare il carico. I prezzi sono andati a picco e ieri il Nymex, alla Borsa merci di New York, ha dovuto accettare che i prezzi finissero, fino a meno €33.99.
** Il modo, insomma, per poter eliminare quella fattispecie di “reato economico”che si scorge quando non viene limitata la differenza, nella propensione al consumo, tra chi dispone meno di quel che deve spendere e chi ha più di quel che spende, rendendo inefficiente il contributo dei diversi operatori della spesa alla generazione della ricchezza.
Mauro Artibani, l’economaio
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