Mattarella è stato eletto nel febbraio del 2015: il suo settennato spira dunque nel 2022. Pensate che l’elezione del nuovo Capo dello Stato sia un evento troppo lontano per occuparcene oggi, ad un anno e mezzo di distanza? Nossignore. O meglio: la scadenza è sicuramente lontana, e peraltro in un tempo in cui i cicli sono veloci e le stagioni politiche vivono l’espace d’un matin, parlare di candidati presidenti significherebbe lavorare attorno ai calendari di Frate Indovino o alle predizioni catodiche del mago Otelma. Ma non è così. O almeno non per tutti: c’è chi crede che bisogna darsi da fare subito per la campagna elettorale. In realtà non ci si candida ufficialmente a fare il Presidente della Repubblica, ma si viene scelti, ai sensi dell’art.83 della Costituzione, dalla platea dei parlamentari, integrata da 58 delegati regionali, con un voto versato nell’urna con uno scrutinio segreto, raggiungendo il consenso di due terzi dell’assemblea (che però, dopo il terzo scrutinio, diventa maggioranza assoluta, cioè la metà degli aventi diritto più uno).
Non ci si candida, è vero, però, per chi potrebbe anche non opporre un perentorio no alla richiesta del conclave dei grandi elettori, può apparire utile darsi da fare per guadagnarsi la platea. L’esperienza consiglierebbe, in verità, di tenersi in pole position in modalità testuggine ritrosa, perché come tiri fuori la testa ti impallinano, in attesa di giungere all’appuntamento che risolve la partita sempre nelle ultime ore. Ma, vuoi quel peccato originale di vanità sempre in agguato in chi armeggia con ruoli pubblici, vuoi perché alcuni di questi autoproiettati con la politica non hanno granché a che fare, ecco comparire qua e là segnali di candidature.
E qui c’è il nodo: quale Parlamento andrà ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica? A meno di una – allo stato improbabile – elezione anticipata, sarà il Parlamento della XVIII legislatura. Cioè questo. Ma, direbbe qualcuno, e il referendum? Ove passasse il taglio dei parlamentari come potrebbe un Parlamento politicamente delegittimato procedere all’elezione del nuovo Capo dello Stato che starà lì a rappresentare l’unità della nazione per i prossimi sette anni? Questione seria, politicamente ben posta, ma giuridicamente non decisiva: la Costituzione non lo vieterebbe. Allora ecco che fior di accademici affannarsi a strizzare non uno ma tutti e due gli occhi alla platea dei grandi elettori del 2022, i parlamentari in carica. Che sono, in misura maggioritaria, i parlamentari pentastellati della favolosa infornata del 2018, due anni e due ere glaciali fa, più Pd e vari ed eventuali.
E qui s’intorcina il paradosso, alquanto inestetico, per la verità: si sostiene pancia a terra il taglio dei parlamentari, cavallo di battaglia del M5S, epperò si spera di prendere i voti dei parlamentari nello schieramento “pletorico” di oggi, 945, perché altrimenti il consenso anelato non ci sarebbe per carenza di numeri.
Comunque ai nastri di partenza oggi ci sono tutti gli acerbi e i primaticci: dalle Alte Corti, agli alti scranni delle istituzioni, con una buona presenza di nastri rosa, a qualche politico di corso medio lungo che pensa di guadagnare il passo, a parecchi ex qualcosa, ai grandi economisti di fama globale. Un consiglio non richiesto: datevi un’occhiata alla salita al trono di tutti e 12 i Presidenti, da De Nicola a Mattarella, e ripassate la storia. Che è essenzialmente una storia di outsiders, non di protagonisti assoluti, arrivati al risultato solo nell’ultimo miglio. Ricordatevi: tutto quello che farete oggi potrà essere usato contro di voi. Come nei legal thriller americani.