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Phisikk du role – L’epilogo inglorioso dell’amico Bannon

Se cerchi su Wikipedia alla voce Steve Bannon trovi questa informazione: “Stephen Kevin Bannon (1953)è un giornalista, politico, produttore cinematografico, politologo, ex banchiere d’investimento, direttore esecutivo di Breibart News, capo strategia del presidente Trump, vicepresidente di Cambridge Analytica, da molti ritenuto come l’ideologo della linea politica del 45mo presidente americano, nonché uno di principali esponenti dell’alt-right, la destra alternativa americana che si ispira al nazionalismo, al populismo, al sovranismo, al conservatorismo reazionario”.

Abbiamo fatto sintesi sorvolando sui precedenti giudiziari citati dalla fonte Wiki, riguardanti molestie sessuali e domestiche su cui non ci soffermiamo. Così come non ci soffermiamo sullo scandalo di Cambridge Analytica, prima immensa falla giunta ai fasti del dominio pubblico, prodotta dal dominio occulto del web e dell’impiego ad uso politico dei nostri dati personali, con la compiaciuta collaborazione di potenze straniere. Al già cospicuo curriculum del mai sufficientemente lodato, si aggiunge da ieri quello di collettore farlocco dei contributi per erigere il muro al confine con il Messico, attività cui il nostro si è applicato alacremente, in coerenza intima con il suo riferimento culturale e politico Donald, dimenticando, tuttavia, di versare da qualche parte, diversa dalle proprie tasche, il cospicuo ricavato.

E così il nostro è stato tradotto ieri nelle patrie galere (ma poi è uscito pagando una lauta cauzione) a meditare sulla trascurabile dimenticanza del versamento di 25 milioni di dollari. La prima considerazione è che in fondo ben poco doveva aver inciso nell’immaginario conservatore dei capitalisti americani di frontiera la tiritera trumpiana sul muro in faccia al Messico, se la campagna “We Build The Wall” alla fine aveva raccolto quel misero argent de poche di un grappolino di dollari. Ma quel che ci riguarda più direttamente come italiani è un altra caratteristica di questo maître à penser del celodurismo contemporaneo. Era l’”amico americano” di Salvini e Meloni, affratellato dal credo sovranista. Anzi: era lui il guru del sovranismo a cui la meglio gioventù della destra italiana faceva esplicito riferimento.

Come si possono dimenticare foto patinate, selfie grondanti di soddisfazione, articolesse onuste di salamelecchi alla nuova star del pensiero mondiale, mandati in pagina da giornali compiacenti e fiancheggiatori mascherati? Correva l’anno 2018, se vado bene con la memoria, e il guru faceva viaggetti in Italia visitando le feste di Meloni e arruolando il “fratello” Salvini nella sua Associazione mondiale dei sovranisti “The Movement”. Fratello Salvini, poi, era particolarmente apprezzato da Bannon, che ebbe a definirlo pubblicamente “l’umile uomo del popolo diventato il politico più influente d’Europa”, cosa che venne commentata con un mezzo inchino dalla stampa nazionale.

Non che non ci fossero segnali anche in passato per capire di che pasta fosse fatto il guru: lo stesso Trump lo aveva tenuto come consigliere solo per poco più di sei mesi, dal gennaio all’agosto 2017, rimuovendolo, si dice, su pressioni della figlia Ivanka. Tuttavia i nostri eroi, brother e sister d’Italia, abbacinati dallo scintillante splendore del consigliere del presidente, non persero una sola occasione di esibire al mondo la solida fratellanza e sorellanza con Bannon.

L’epilogo inglorioso, forse non così imprevedibile della vicenda, non so perché ricorda certi film di Totò, protagonista di truffe ingenue e scenografiche a danno di qualche gonzo di paese. Roba anni ‘60, film che raccontavano di un’Italietta imbozzolata nella generosa, ma angusta, antropologia della sua infinita provincia. Quando Carosone cantava: “Tu vuo’ fà l’americano, mericano, ma si’ nato in Italy…”.


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