Giuseppe Conte torna da Bruxelles vincitore. Di una battaglia, non della guerra. Una battaglia soprattutto simbolica, ma sappiamo che l’immaginario e la narrazione contano oggi in politica (ahimé!) quanto la sostanza.
In effetti, il copione era probabilmente già scritto dall’inizio, con una decisione sul Recovery Fund presa già da tempo dalla Germania e dalla Francia, cioè dall’asse che tiene in piedi un po’ tutta la baracca continentale.
L’opposizione negoziale di Olanda e “frugali” vari mirava a soli due obiettivi, centrati: uscire dal tavolo delle trattative con qualcosa in mano, come contropartita; fare una bella figura col proprio elettorato nazionale (altro che solidarietà europeistica!).
Ma la cosa interessante è stata la sceneggiatura del dramma in tre giorni, almeno così come la “narrazione” è venuta fuori sui giornali italiani (da una consultazione rapida dei siti stranieri non mi sembra che il modello comunicativo abbia avuto seguito altrove).
C’era il cattivo, impersonato da Rutte, con i suoi “bravi” a fargli da spalla; i “buoni”, con la Merkel e Macron, che “altruisticamente” volevano mostrare tutto il bene che vogliono al nostro popolo e “salvarlo” dal precipizio a cui era destinato; gli indifferenti; un premier, il nostro, che indomito non si dava per vinto e sbatteva i pugni sul tavolo impegnato a mostrare a tutti quanto il “cattivo” fosse cattivo.
E, come in tutte le fiction che si rispettano, c’era pure l’imprevisto: il “sovranista” di cui si era detto peste e corna fino al giorno prima, che, fulminato sulla strada di Damasco, si era di colpo impietosito per le nostre sorti e aveva mandato a dirle due certo non tenere al “cattivo” di turno.
Purtroppo, anche le fiction finiscono e, tornato a Roma, Conte dovrà vedersela con i problemi di sempre: interni alla sua maggioranza e strutturali del Paese.
Non c’è dubbio che la sua posizione ne esca rafforzata, come dicevo, ma che da questo egli riesca a mettere a tacere le tensioni o a risolvere i problemi ce ne passa. Che ne sarà del Movimento Cinque Stelle, cioè della forza che è maggioranza in Parlamento? Soprattutto delle velleità di Luigi Di Maio, che si sente addirittura “ridimensionato” da Conte e sogna per sé Palazzo Chigi?
E il Pd, vero garante del patto europeo, fino a che punto potrà vedersi ingabbiato dalle convulsioni dei Cinque Stelle e da una identità, la propria, sempre più evanescente? Senza contare che in Italia il troppo potere coalizza i nemici, o gli amici-nemici, e Conte per molti lo è o lo è diventato, nonostante (o forse proprio grazie al fatto) che non abbia un partito alle spalle.
Ma la situazione più interessante la si vede a destra, ove, da una parte, c’è necessità di tenere salda l’alleanza in vista delle regionali, ma, dall’altra, viene fuori una divergenza di opinioni che sul più lungo periodo potrebbe essere foriera di sorprese oggi non immaginabili.
Forza Italia, in verità, si era già smarcata da tempo muovendosi in direzione europeista, con l’adesione al Mes. E, detto fra parentesi, non si capisce perché abbiamo fatto del cosiddetto “fondo salva Stati” un tabù ideologico (Conte si capisce perché) per controverse “condizionalità” per poi uscire da Bruxelles con un Recovery Fund tutto “condizionato” (è questo il significato del “freno di emergenza” impostoci).
Come cantava Vasco Rossi, è inutile cercare un senso a quello che senso non ne ha, e cioè la politica italiana attuale. Ancora più interessante è vedere la divaricazione creatasi fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, con la prima che segue coerentemente la bussola dell’interesse nazionale e distingue l’operato di Conte dalle conseguenze che potrà avere (e che anzi quasi sicuramente avrà) sulla nostra sovranità; e con il secondo che continua a combattere la sua battaglia, a questo punto impolitica, di testimonianza, non deflettendo minimamente dalla posizione antieuropeista.
Come tutte le battaglie di testimonianza, quella di Salvini, se il leader la reggerà bene (anche all’interno), sarà ripagata solo in un futuro lontano, cioè alle prossime elezioni. Almeno che la situazione italiana, economica e sociale, non precipiti prima, cosa che comunque non ci si può da buoni nazionalisti augurare.
Qualche elemento in più per giudicare, su tutto il fronte dei posizionamenti politici, lo si avrà nei prossimi giorni, visto che, fra questioni sul tavolo dell’esecutivo e calendarizzazione parlamentare intensa, anche quest’anno per i nostri politici non ci sarà vacanza.