Il coronavirus non spaventa le Forze armate russe. Su ordine del presidente Vladimir Putin, il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha ordinato un controllo sulla prontezza operativa di 150mila unità, 26mila sistemi d’arma, 414 velivoli militari e 106 navi da guerra. Coinvolge i distretti militari meridionali e occidentali, nonché le Flotte del Nord e del Pacifico. L’obiettivo dichiarato è verificare il grado di preparazione in vista di Kavkaz-2020, la maxi esercitazione che (Covid-19 permettendo) dovrebbe tenersi dopo l’estate. Come per ogni esercitazione, c’è poi il messaggio geopolitico, rivolto alla Nato e agli Stati Uniti: Mosca non vuole sembrare in alcun modo indebolita dalla pandemia.
NUMERI E OPERAZIONI
Su un personale militare in servizio attivo che si aggira intorno al milione, il controllo avviato dalla Difesa è più che rilevante, coinvolgendo il 15% della forza disponibile. Si vuole “valutare l’abilità delle truppe di assicurare la sicurezza nell’area sud-occidentale della Russia, dove persistono ancora serie minacce terroristiche, e di prepararsi per Kavkaz-2020”, avrebbe spiegato Shoigu ai vertici militari, almeno secondo quanto riporta Tass (l’agenzia di stampa del Cremlino) nell’articolo diffuso in lingua inglese. La manovra militare comprende “56 esercitazioni tattiche”, ha aggiunto il ministro, di cui 17 tra Mar Nero e Mar Caspio. Sono coinvolti i distretti militari meridionali e occidentali, la unità di fanteria della Marina delle flotte del nord e del Pacifico, e alcune unità del comando centrale. Coinvolti tutti i vertici, a iniziare dal supremo comandante in capo, il presidente Putin. A giudicare dai comandi coinvolti, le diverse azioni si svolgeranno principalmente nelle regioni a confine con gli Stati Nato e nel settore che si affaccia sul Pacifico.
L’ATTENZIONE DEGLI USA
Le crescenti manovre russe preoccupano da tempo l’Alleanza Atlantica e gli Stati Uniti. L’avvertimento più recente dall’alleato d’oltreoceano è arrivato da Ryan D. McCarthy, segretario dell’amministrazione di Donald Trump per l’Esercito degli Stati Uniti, che negli scorsi giorni ha fatto tappa in Europa per una serie di incontri con i partner del Vecchio continente, tra Londra, Bruxelles e Varsavia. Una visita programmata da tempo, poi rinviata a causa del Covid-19, e dunque ri-orientata sulle novità più recenti, a partire dai piani di dispiegamento Usa in Europa dopo l’annuncio di Trump per una forte riduzione delle truppe presenti in Germania (da 34.500 unità a 25.500). “Abbiamo visto un considerevole incremento degli investimenti da parte delle Forze armate russe in armi di precisione di lungo raggio e in ciò che chiamiamo capacità di anti-access/area-denial, sistemi di difesa missilistica – ha detto parlando con la stampa europea – nel tempo hanno accresciuto la sofisticazione e la portata di tali armamenti”.
NUMERI A CONFRONTO
Ci sono poi le esercitazioni, comprese quelle “con formazioni di dimensioni considerevoli al confine di Polonia e Stati baltici”, ha notato McHarthy. Due anni fa, l’attenzione della Nato si alzò per Vostok-18, un’esercitazione dai numeri impressionanti con 300mila soldati e circa 40mila veicoli militari (compresi mille aerei e 80 navi da guerra), qualcosa “che non si vedeva dai tempi della Guerra fredda” e che conta l’inedita partecipazione di 3.200 militari cinesi (importante a livello geopolitico). Numeri enormi anche se paragonati ai simili impegni del fronte Nato. La tanto discussa esercitazione Defender Europe, tra l’altro accompagnata da una buona dose di disinformazione da Pechino e Mosca su presunti legami con la diffusione del virus, doveva contare 37mila soldati da 18 Paesi, poi ridottisi notevolmente per l’emergenza pandemica. L’obiettivo, in principio, era testare le capacità di deterrenza rapida e dispiegamento massiccio, nonché verificare la capacità infrastrutturale dei Paesi europei in casi di manovre di questo tipo.
UNA DIFESA CINETICA
D’altra parte, la postura della Nato sul fianco est rimane piuttosto tradizionale. Il perché lo ha spiegato lo stesso Ryan D. McCarthy: “Le azioni russe nel 2008 in Ossezia del Sud e Georgia, o nel 2014 in Crima, nel 2015 in Siria o nel 2018-2019 in Libia, sono sempre state cinetiche”. Per questo, ha aggiunto, “dobbiamo essere in grado di assicurare la possibilità di rafforzare i nostri alleati e di non presentare alcuna vulnerabilità”. Tra le tappe europee, McCarhy è stato a Varsavia proprio per definire il potenziamento della presenza Usa in Polonia, già deciso lo scorso anno da Donald Trump e Andrzej Duda. Si tratta di mille unità in più da aggiungere alle 4.500 già presenti nel Paese. Non si esclude un ulteriore incremento, visto che le 9mila unità in ritiro dalla Germania dovrebbero essere, almeno in parte, ridispiegate in altri Stati europei. Su questo, arriveranno novità “nelle prossime settimane”.