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Renzi, Berlusconi, Di Maio: manovre di sottopalazzo (con un Palazzo immobile). La bussola di Ocone

La situazione politica italiana è paradossale. Da una parte, c’è un Paese in ginocchio che mai come in questo momento avrebbe bisogno di un governo efficace e responsabile, se solo vuole avere qualche possibilità di sopravvivere degnamente; dall’altra, c’è un governo che non governa ma che un insieme di forze maggioritarie in Parlamento non vogliono mandare a casa per paura delle elezioni e del contraccolpo che esse potrebbero avere sulla scelta del prossimo Presidente della Repubblica e per i nostri rapporti europei.

In verità, una terza via ci sarebbe, e sarebbe la più “razionale” se si ragionasse in termini impolitici: un governo allargato quanto più possibile e al limite di “unità nazionale”. Ciò comporterebbe la scelta di un altro presidente del Consiglio, visto che Giuseppe Conte, per modo di agire e per storia politica personale (per quanto breve), è politicamente troppo divisivo.

Il nome più “gettonato” e indicato per guidare un esecutivo siffatto è sicuramente quello di Mario Draghi. Questa possibilità è tutto sommato molto teorica, allo stato attuale: sia perché tutti temono di fare un primo passo e innescare una serie di azioni e reazioni fuori controllo che potrebbero portare dritto ove non si vuole arrivare, cioè appunto alle elezioni, sia perché Conte le sta studiando tutte per sopravvivere.

Già però il semplice fatto che la possibilità esista crea fibrillazioni, sommovimenti e “colpi bassi” che servono, se non altro, a intrecciare rapporti e alleanze, anche di scambi e favori, che possono essere utili se la situazione dovesse per un qualsiasi motivo precipitare o in previsione della stessa elezione presidenziale e in genere degli assetti politici futuri.

La situazione più paradossale è quella del Pd, che vede scalfita enormemente dall’inconcludenza del governo, non riuscendo a battere palla, la sua immagine di concretezza e affidabilità sapientemente costruita nel tempo presso i suoi elettori. Dal che deriva una sorta di schizofrenia che accomuna Nicola Zingaretti e gli altri leader democratici: sempre più insoddisfatti del governo e di Conte, ma anche sempre più costretti a fare buon viso a cattivo gioco. Il potere in questo caso logora chi ce l’ha, ma non averlo sarebbe ancora peggio.

Quanto ai Cinque Stelle, anche Luigi Di Maio, che è comunque ancora il più influente politico grillino, è costretto a questo gioco, ma in verità solo a livello di facciata: pur di scalzare Conte, che vede come un concorrente diretto e forse un “usurpatore”, sarebbe disposto a tutto. Così come a tutto sarebbe disposto per avere ancora più potere: da qui le aperture a Silvio Berlusconi, tramite Gianni Letta che ha incontrato in gran segreto, e l’incontro con Mario Draghi, reso noto con molto ritardo e con l’evidente scopo di far saltare i nervi al premier.

Ed è evidente che l’ex Cavaliere è la pedina più importante e corteggiata in questi giochi di Palazzo e sottopalazzo: sia per la disponibilità astutamente messa in campo nell’ultimo periodo verso tutti, compreso il premier, sia perché rappresentante in Italia della linea europeista del Ppe. E la “formula Ursula” anche per il nostro Paese è stata rilanciata persino da Romano Prodi, disposto a far cadere i vecchi tabù antiberlusconiani (archiviando in via definitiva la “seconda Repubblica”) pur di accedere alla poltrona più alta, quella del Colle, a cui da sempre aspira e che la volta scorsa perse per un pelo.

Se Pd e soprattutto Cinque Stelle devono ingoiare qualche rospo per farsi piacere l’uomo di Arcore, Matteo Renzi non ha, almeno dai tempi del Nazareno, di questi problemi. E anzi, visto il prevedibile smottamento di Forza Italia e l’altrettanto evidente mancato sfondamento di Italia Viva, si dice che punterebbe ad una futura unificazione delle due forze in un partito di centro riformista, garantista, europeista e “liberale”. Un partito che, come nella migliore o peggiore (fate voi) tradizione della Prima Repubblica, potrebbe sapientemente usare in regime proporzionale la politica dei “due forni” di democristiana memoria: allearsi con la Lega o con la sinistra a seconda delle circostanze, o (per i maligni) secondo opportunismo.

E tenendo fuori i Fratelli d’Italia (non disponibili a nessun compromesso) e la sinistra estrema (compresa forse quella movimentista di grillini alla Alessandro di Battista) ideologica e antiberlusconiana fino alla morte. Fantapolitica? Sì e no, visto che la politica italiana partorisce continuamente novità e fa dell’impossibile il possibile: anche un presidente del Consiglio che governa oggi con una maggioranza “innaturale” e domani con un’altra diversa e opposta alla prima ma altrettano “innaturale”.


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