Certo, l’immagine di Giovanni Toti e Mara Carfagna che si incontrano in segreto a Roma per studiare una possibile liaison fa effetto, per più motivi.
Prima di tutto perché i due erano stati nominati (direi senza troppa convinzione) da Silvio Berlusconi, circa un anno e mezzo fa, come coordinatori per il rilancio di Forza Italia, ed erano stati scelti perché coprivano due diverse aree politico-culturale: la prima, quella di Toti, molto sensibile, per così dire, al “sovranismo” salviniano; l’altra, quella di Mara, tanto aperta sui diritti civili da essere sembrato quasi naturale un suo confluire prima o poi in Italia Viva. Anche se la deputata campana fa sapere ora di non aver mai avuto contatti con Matteo Renzi, con il quale non ha preso “neanche un caffè”.
D’altronde, fra i due sembrava correre un sottile “disprezzo”: ma in politica più che altrove, è forse vero che “chi disprezza compra”. Strano è però anche il fatto che, in diversi periodi storici, entrambi sono stati quasi dei “figli adottivi” dell’ex Cavaliere, senza il quale semplicemente non esisterebbero oggi politicamente. Una sorta di emancipazione, o parricidio, se volete, il loro.
Proprio la diversità culturale dei due personaggi coinvolti in questa inattesa manovra postelettorale, o tentativo di aggregazione, mostrano però come oggi la post-politica sostituisca a volte quella politica classica fatta di ideali, programmi, posizionamenti culturali ben precisi. E post-politico, soprattutto per Carfagna, è in qualche modo anche l’appoggio all’operazione che i due cercano in Matteo Salvini. Sarebbe un patto che, qualora si riuscisse a stringere, avrebbe una reciproca convenienza: garantirebbe alla nuova entità politica uno sbocco parlamentare solido; farebbe di Salvini una sorta di “federatore” delle diverse anime del centrodestra, un po’ come fu il Silvio Berlusconi dei tempi migliori. Il che gli servirebbe, da una parte, per uscire dall’angolo, ove pur con la sua forza elettorale è stato cacciato; e, dall’altra, per differenziarsi dal partito di Giorgia Meloni che, per quanto sia alla ricerca con successo di una “terza via” fra europeismo e antieuropeismo, è comunque (un po’ come il Pd) un partito di stampo classico e non può permettersi troppi “sbandamenti”, nemmeno verbali (come il “siamo eredi di Berlinguer” pronunciato da Matteo).
Il problema, a mio avviso, è nella forte coloritura liberal che hanno avuto recentemente molte prese di posizione di Mara Carfagna e che semplicemente appartengono all’altro campo politico: può la Lega di Salvini, per quanto post-ideologica e già oggi composta da molte anime e sensibilità, “tollerare”, senza che si generino cortocircuiti, una prospettiva politicamente corretta (sul gender, sull’immigrazione, sull’ “etica” pubblica…)? Non è proprio questo uno di quei pochissimi assi che distinguono una destra da una sinistra, ancora oggi?
D’altronde, i due protagonisti di questo “innamoramento” non previsto hanno ben capito che per un centro che vada da Forza Italia a Italia Viva, oggi, nemmeno con l’eventuale proporzionale in Italia c’è spazio. Con buona pace, direi, dell’attivissimo ed energico Carlo Calenda. E che, se anche tutti i pezzi si aggregassero, il risultato non sarebbe presumibilmente nemmeno quello di una mera sommatoria.
C’è poi un convitato di pietra in tutta questa faccenda, che è proprio Berlusconi e il suo partito. Se, appresso a Carfagna, ci sarà un fuggi fuggi generale in area forzista, cosa farà il suo leader? Chissà che, casomai aiutando Salvini ad uscire dallo stallo europeo, grazie ai buon uffici del Partito Popolare (che non significa abbracciare una Angela Merkel ormai alla fine della sua carriera) il Cavaliere non si conquisti un ruolo di “padre nobile” e di simbolo vivente, quasi come un Re, di un centrodestra unito (pur nella diversità multicolore delle sue anime).