Dopo le esercitazioni militari turco-azere su larga scala organizzate in prossimità dei confini con l’Armenia, l’Azerbaijan della dinastia degli Aliyev ha iniziato il 27 settembre, gli attacchi (come si poteva prevedere) su larga scala, contro la popolazione pacifica della Repubblica di Artsakh. Un piano logico e ben preparato, il suo modus operandi non risparmia niente e nessuno e rispecchia in realtà solo anni ed anni di minacce dell’uso della forza.
La Repubblica autoproclamata dell’Artsakh ha una lingua (si tratta di fatto di un dialetto armeno) tradizioni, usi, costumi, religione propri. Non può essere considerata “separatista” perché ormai da quasi tre decenni è nella prassi indipendente dall’Azerbaijan e non ha nulla a che fare con Baku. Inoltre in Artsakh, a totale composizione etnica armena abitano molti Armeni scampati ai pogrom, in particolare quello di Sumgait del 1988. Secondo il “Diritto internazionale” Artsakh, non è una Repubblica bensì una regione ribelle e separatista. Gli Armeni si indignano a questa interpretazione ma di fatto in mancanza di riconoscimenti internazionali, la posizione armena appare ancora poco condivisibile. Ad innescare il mancato riconoscimento da parte della comunità internazionale è certamente la cosiddetta “Diplomazia del Caviale”, basata sulla corruttela degli organi di stampa e dei politici internazionali. La comunità internazionale appare cieca e sorda alle grida di aiuto, non solo delle minoranze presenti in Azerbaijan ma anche degli oppositori politici, schiacciati nei loro diritti umani, privati delle libertà personali, umane, sociali e civili, motivo per cui l’Azerbaijan è stato più volte condannato dai tribunali internazionali. Per molto meno altrove gli stati riconoscono il diritto all’autodeterminazione dei popoli.
A costoro che non vogliono riconoscere l’Artsakh come indipendente ricordiamo che esso ha da sempre vantato una popolazione soprattutto cristiane, in una terra circondata da agguerriti e feroci musulmani, e che nel 1991 Artsakh semplicemente esercitò il proprio diritto all’autodeterminazione riservatagli, sia nel contesto della legislazione in vigore a quel tempo, che secondo la legge internazionale, come ultimo baluardo possibile per liberarsi dallo stato azero persecutore e dittatoriale.
La Repubblica de facto di Artsakh è uno Stato che attende oggi, più che mai, il riconoscimento internazionale, con la speranza di stabilire finalmente il suo status finale che gli permetterà di continuare semplicemente la sua esistenza!
Si sa che i rifornimenti alle truppe azere provengono dalla Turchia e non solo, e non si tratta solo delle armi e delle munizioni ma anche le risorse “umane” – non già nel senso “umanitarie” in questo caso. Si tratta, infatti, di migliaia di jihadisti trasferiti dalla Siria del nord, e dalla Libia perché in quei luoghi la Turchia ha tagliato gli stipendi mensili ai mercenari da 1500 a 600 dollari. Il reclutamento in questo caso viene pagato con i soldi dello royalties del gas naturale dell’Azerbaijan, invischiata, peraltro, anche nello scandalo dei “Panama Papers” e nella morte della giornalista maltese Dafne Caruana Galizia.
L’Azerbaijan spara sulla popolazione civile, come ha sempre fatto, bombarda scuole, case e rifugi, gli obbiettivi preferiti di questi orchi sono le donne incinte, gli ospedali, gli anziani, i bambini e le scuole perché per loro “il miglior armeno è un armeno morto”.