Le elezioni regionali hanno cambiato il quadro politico più di quanto si prevedesse alla vigilia. A sorprendere è stata anzitutto la partecipazione al voto, per nulla fiaccata dall’effetto Covid. L’abbinamento del turno regionale col referendum, poi, ha regalato un ulteriore imprevisto: è stato il referendum a trainare le regionali, e non viceversa, come si era pensato.
Ma le vere sorprese sono stati i risultati nelle regioni: i governatori uscenti hanno vinto, come si prevedeva, ma anche stra-vinto,come non si auguravano neppure i loro partiti di riferimento. Ed è l’effetto presidenzialista del sistema elettorale regionale. Si prevedeva quasi un en plein del centrodestra. Non ci è stato. L’effetto Salvini si è fermato, la Lega arretra nel Nord e non recupera al Sud.
Il successo Veneto di Zaia è più una conferma che una smentita di questa parabola discendente. Salvini ha rovesciato il governo giallo verde per incassare il dividendo della sua popolarità. A sue spese ha scoperto che forse attraeva più il fascino del governo delle sue felpe. La stessa Meloni esce meno malconcia di Salvini, ma l’onda lunga sovranista è finita.
Si dirà che anche il Centro è finito: liste dc ai minimi termini, Forza Italia sparita al Nord e ridimensionata al Sud, nell’area di governo nessuna traccia di Centro. Sì, ci sono Renzi e Calenda al centro della scena,ma sono sostanzialmente i Casini e Mastella della terza repubblica.
Tutto finito, allora, per chi non si rassegna a dover scegliere tra sovranisti e giallorossi? Allo stato sì, la prognosi della resurrezione centrista è riservata. Molto dipende dalla legge elettorale: se Zingaretti insiste sul proporzionale, non è automatico che rinasca un forza centrista,ma non è neppure escluso. Se invece il Pd-magari assieme all’odiato Salvini- ripristina il Mattarellum, allora il Centro rimarrà l’insegna di irrilevanti cespugli dislocati nei due poli.