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Perché il travaglio pentastellato costa mezzo punto di Pil. Scrive il prof. Pennisi

5 star movement

Le cronache dei quotidiani dedicano pagine e pagine al travaglio del Movimento 5 Stelle (M5S); analogamente, i media on line sono pieni, in questi giorni, di commenti, analisi, retroscena su ciò che sta avvenendo in seno ad un Movimento che ha una vastissima rappresentanza parlamentare ma pare di avere esaurito il prorio seguito nel Paese. Nessuno pare chiedersi, però, le implicazioni di questa sofferta fase del M5S sull’economia del Paese. È un interrogativo chiave.

Premetto che non ho contatti con il M5S e con i leader delle varie “anime” o correnti che lo compongono. Ne ebbi due istituzionali quando ero consigliere del Cnel, specialmente quando avevo il compito di presiedere la Commissione informazione dell’istituto. Uno fu con Luigi Di Maio quando era vice presidente della Camera dei deputati in occasione della presentazione del rapporto annuale sul mercato del lavoro che avvenne a Montecitorio e che lui, in qualità di ospite, introdusse con un breve saluto. Il secondo fu con Alessandro Di Battista che interpellò il Cnel per questioni relative all’Ilva di Taranto: parlammo più di un’ora e ne trassi un’ottima impressione, soprattutto della sua capacità di recepire elementi di fatto e di analisi differenti dalle sue iniziali congetture. Gli diedi il mio numero di cellulare e, nel corso della trascorsa legislatura, mi interpellò brevemente, e molto educatamente, un paio di volte. Ritengo perfettamente azzeccata la sua analisi dei risultati elettorali.

Torniamo al punto centrale. Il travaglio all’interno del M5S ha un costo elevato sull’economia italiana per due ordini di motivi: a) ritarda decisioni che sono impellenti; b) aumenta l’incertezza che pervade il Paese.

In questo periodo dell’anno, viene preparata la legge di bilancio per i 12 mesi successivi. Quest’anno la redazione della legge di bilancio per il 2021 si interseca con la programmazione dei programmi di riforma e dei progetti di spesa da proporre alla Commissione europea e – quel che più conta- agli altri partner dell’Unione europea a valere sul Resilience and Recovery Fund (Rrf). Come ha documentato Salvatore Zecchini su questa testata, le “linee guida” presentate dal governo sono acqua fresca. Questa ed altre testate hanno sollevato interrogativi seri su quali saranno i “parametri di valutazione” ed i “criteri di scelta”, chi farà le analisi e con quale mandato, quale misure verranno adottate per mantenere la tempistica programmata nell’attuazione, e via discorrendo. Dal governo non si hanno risposte a ragione del travaglio interno al partito di maggioranza relativa.

Ci sono altre questioni urgenti in attesa di decisione. La più pressante riguarda la richiesta (o meno) di accesso allo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (tanto più necessaria in quanto a) si prospetta un aggravamento della pandemia nei prossimi mesi; b) è chiaro che i finanziamenti del Rrf non arriveranno prima dell’autunno 2021). Ci sono, poi, decisioni di politica industriale su Alitalia, impianti siderurgici di Taranto, Autostrade per l’Italia (per non citare che le più note) che attendono di essere prese.

L’incertezza, infine, aggrava tutti i processi sia nel settore pubblico allargato sia nel privato e si somma a quella generata dal virus. Stime econometriche suggeriscono che la doppia incertezza costano mezzo punto del Pil aggravando, quindi, la recessione in corso. La soluzione del travaglio M5S non basterà da sola a fugare l’incertezza originata dal Covid, ma un esecutivo saldo e, mi si scusi il termine, “decisionista” potrà ridurla in misura significativa.


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