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Referendum (e non solo), così cresce il gruzzolo di M5S. Scrive De Masi

Di Domenico De Masi

L’interpretazione sociologica dei risultati referendari è facilitata dall’entità degli stessi risultati. Da una parte c’è l’alta percentuale dei votanti, dall’altra c’è la marcata vittoria dei Sì. Entrambi i fenomeni sono nettamente superiori alle previsioni. Ma chi aveva fatto queste previsioni? Chi le aveva accreditate e divulgate? Quasi sempre si tratta di cifre che vengono attribuite a fantomatici “sondaggi” ma che, in realtà, riflettono l’auspicio di chi le esibisce.

Nel caso specifico di questo referendum i risultati rappresentano un unicum: è la prima volta, da una ventina d’anni a questa parte, che un referendum costituzionale conferma la modifica che si intende apportare. E la modifica, in questo caso, consiste nel taglio dei parlamentari chiesta dalla grande maggioranza degli stessi parlamentari.

Insieme al “Decreto Dignità”, al Reddito di Cittadinanza, ai bonus e all’estromissione dei Benetton dalla gestione delle autostrade, questo taglio rappresenta il non esiguo gruzzolo di provvedimenti che il Movimento 5 Stelle ricava dalla sua partecipazione al governo e che hanno come comune denominatore una natura se non “di sinistra”, almeno neo-keynesiana e anti neo-liberista.

L’insieme degli accadimenti politici degli ultimi mesi consentono dunque qualche riflessione su accadimenti che a prima vista potrebbero apparire estranei al risultato referendario ma che invece confluiscono in esso. La prima è che il governo a guida grillina, benché rifiuti di essere etichettato di destra o di sinistra, tuttavia si è comportato come una forza politica di sinistra, portando a buon fine le uniche leggi e gli unici decreti “socialdemocratici” che sono stati approvati in Italia dopo la riforma sanitaria (1978). Sotto questo aspetto si sono comportati in modo opposto a Renzi che, invece, sotto un’etichetta di sinistra, fece solo leggi neo-liberiste.

La seconda osservazione è che questo governo, di fronte a una situazione imprevista e drammatica come la pandemia, si è comportato assai meglio di tutti gli altri governi occidentali, sicché oggi il nostro Paese, che è stato il primo a sperimentare il contagio e con maggiore virulenza, è anche quello che è riuscito ad arginarlo presto e meglio.

La terza osservazione è che lo stesso governo, pure appartenendo a un Paese che ha subito dal coronavirus danni di poco superiori a quelli di altri paesi dell’Ue, tuttavia è riuscito a ottenere dall’Europa un aiuto in miliardi di euro più che doppio rispetto a quello ottenuto da qualsiasi altro Stato.

L’insieme di tali eventi ha assicurato a questo governo Conte un consenso altissimo che induce la maggioranza degli italiani a contrastare qualunque tentativo di scalzarlo. Il solo fatto che una vittoria del No avrebbe potuto indebolire Conte ha indotto molti ad andare a votare e a votare Sì.

Di qui la quarta osservazione che riguarda gli alfieri del No. Un gruppo notevole di giornalisti italiani, forti dei loro giornali e delle loro frequenti partecipazioni ai talk show televisivi, hanno dato vita a un coro crescente e dissonante in cui la critica al governo si accoppia a dichiarazioni anti-salviniane pur sapendo, essi critici, che l’alternativa a Conte è solo Salvini. Questi giornalisti sono convinti di essere dei maîtres à penser, di formare un’élite fuori della quale ci sono solo ingenui improvvisatori, di essere autorizzati essi soli a distribuire a destra e a manca critiche e consigli.

Questi “salviniani di sinistra” hanno una congenita opacità sociologica che gli impedisce di comprendere quanto di buono c’è nel flusso della storia e che li spinge a schierarsi istintivamente nell’area concettuale della conservazione, sempre credendosi dei progressisti. L’antipatia che essi riscuotono è crescente come la loro spocchia e ha contribuito non poco a dare il colpo di grazia alle sorti del No.

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