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Letture kosher di novembre 2011

Colpa e pentimento di chi non ha avuto il privilegio di dimenticare. Di un Paese in cui il surreale è diventato reale, di una terra dove l’immaginazione serve per sedare i toni di una quotidianità impossibile e sfrenata. Peccati e confessioni alla ricerca di un’assoluzione si confrontano in una storia ebraica dal sapore cattolico, ambientata a Santiago de Compostela e narrata dall’autore israeliano Abraham B. Yehoshua. Il romanzo La scena perduta (in uscita in Italia alla fine del mese, pubblicata da Einaudi) racconta la storia di Yair Moses, anziano regista del cinema israeliano, ospite in una retrospettiva trasformata in un cammino di espiazione, riflessione e pentimento.
 
Una vera e propria marcia contro un fenomeno globale dell’oblio, verso un risveglio personale dell’anima. Intervistato da Formiche, Yehoshua cerca di delineare un confine ben chiaro tra lui e il suo personaggio, disfacendo possibili paragoni. “Non siamo la stessa persona” assicura, per poi aggiungere “anche se Moses nasce da me” e in effetti tra titoli ed indicazioni varie, non è difficile riconoscere le prime opere dell’autore tra le pellicole proiettate al pubblico di una piccola sala cinematografica spagnola nella sezione La mia vera retrospettiva come la definisce nella frase conclusiva del libro. “Una retrospettiva”- dice Yehoshua – vuol dire cercare di scoprire la vera essenza dei tuoi lavori e in fondo è ciò che ho fatto anch’io ne La scena perduta.
 
Le prime opere letterarie e cinematografiche di Yehoshua e di conseguenza di Moses, sono ambientate negli anni Cinquanta e Sessanta in uno Stato giovane e pieno di ideali, dove il movimento sionista laico sembra aver conquistato la guida dello Stato. Riguardando quelle opere, Yehoshua riconosce una profonda fobia, analizzata e raccontata nel libro dallo sceneggiatore/amico Trigano, un fanatismo metafisico religioso capace di occupare spazi altrui, creando caos e disordine all’interno della società. Accolto da pareri discordanti in Israele accanto ad alcune severe critiche, La scena perduta è stato tuttavia definito da alcuni l’opera letteraria più importante di Yehoshua, se non una delle più importanti nella letteratura contemporanea israeliana.
 
Una descrizione letteraria ricca di significati, dove ebrei erranti in veste laica portano riflessioni sul peso e l’importanza della religione nella vita moderna, del suo legame con la psicologia e il mondo dell’arte, narrate come una sorta di storia personale-professionale e allo stesso tempo collettiva piena di contrasti.
Il risveglio e il cambiamento sono elementi centrali nella vita dei personaggi e del loro romanzo.
Radunati in culture opposte e complementari, il regista ashkenazita e lo sceneggiatore sefardita, pur nel contrasto si completano e creano una simbiosi piena di memorie e pesi di una vita passata, simbolo per certi versi di una “società che deriva da una realtà surrealista” dice Yehoshua, la società per l’appunto israeliana.
 
Quando a Yehoshua viene chiesto di posizionare lo Stato d’Israele in questo lungo percorso, lo fa, collocandolo nella fase della riparazione, uno Stato che a suo dire “ha cercato di riparare l’anomalia dell’essenza ebraica, assolvendo in tal modo una storica carenza. L’ebreo non pensa più a come far adattare il mondo ai suoi bisogni, ma piuttosto a come cambiare qualcosa in se stesso e nella propria identità al fine di riparare il suo rapporto con il resto del mondo. Un processo che secondo lui, ha subito delle regressioni, soprattutto per via dell’oltranzismo religioso che ha creato una minaccia su questo processo.
 
“Certo non tutti – specifica Yehoshua – ma in generale bisogna attivarsi per assicurare che questo processo continui. Dando una forza ideologica, nuove interpretazioni. Insomma esattamente ciò che io e alcuni dei miei amici stiamo cercando di fare”. Questo vivi e lascia vivere va adottato secondo Yehoshua anche come possibile soluzione nel conflitto tra israeliani e palestinesi. Non interferire nella vita degli altri, creare distinzione e insieme all’aiuto dell’Europa, “portare entrambi i lati a un confronto al fine di mettere termine a questa vicenda”.


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