Parlando di sicurezza informatica, “a livello nazionale ed europeo sta sempre più emergendo la necessità di una autonomia rispetto a specifiche tecnologie strategiche. Analizzare gli elementi di eccellenza tecnologici nazionali e mettere i risultati a sistema in un quadro europeo e con partner affidabili internazionali dandosi degli obiettivi ambiziosi può ridurre drasticamente nel tempo l’approvvigionamento tecnologico strategico per l’Europa e per l’Italia”. Parole pronunciate da Roberto Baldoni, vicedirettore del Dis e presidente del Nucleo sicurezza cibernetica, intervenuto la scorsa settimana a un workshop dal titolo “Strategia nazionale cybersecurity e sviluppo delle tecnologie in ambito nazionale ed europeo: il punto di vista delle autorità”, organizzato da Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (gli altri relatori: Alessandro Piva, direttore Osservatorio cybersecurity & data protection del Politecnico di Milano; Gabriele Faggioli, responsabile scientifico dell’Osservatorio cybersecurity & data protection del Politecnico di Milano e presidente del Clusit; l’avvocato Anna Cataleta, senior partner di P4I-Partners4Innovation; Andrea Chittaro, presidente Aipsa, e senior vice president responsabile del dipartimento Global security & Cyber defence di Snam; Corrado Giustozzi, esperto di sicurezza cibernetica del Cert-AgID).
Ridurre l’approvvigionamento dall’estero “è importante come Paese e come Europa”, ha spiegato Baldoni, “in un momento di digitalizzazione progressiva”. Ed è anche su questo che il Dis, ha illustrato il vicedirettore, è impegnato a portare sul tavolo insieme ad altre organizzazioni governative di settore: “Misure per la formazione in cybersecurity e per lo sviluppo di capacità imprenditoriali innovative, di creazione di masse critiche imprenditoriali e universitarie, anche attraverso per esempio la creazione di cyberparchi simili a quelli sviluppati in altri Paesi e il rafforzamento della ricerca applicata nelle università”. “Dobbiamo attivare una sinergia pubblico-privato che possa permetterci di raggiungere una nuova modalità di sviluppo tecnologico che ci abiliterà come Paese una transizione ‘sicura’ nel nuovo mondo digitalizzato”, ha spiegato ancora Baldoni sottolineando l’importanza della formazione. La cybersecurity, ha detto, “non è un gioco individuale ma di squadra e quindi l’importanza di tirar su battaglioni di tecnici informatici specializzati e di giuristi esperti di settore è di primaria importanza per soddisfare i bisogni di sicurezza di una società digitalizzata complessa come quella italiana”.
Tra i progetti citati da Baldoni c’è l’istituzione di cyberparchi. In Israele si utilizza spesso la parola ecosistema per definire la collaborazione tra aziende, istituzioni e università nel campo della sicurezza informatica. E la miglior traduzione di questa definizione in pratica è a Beer Sheva, la città nel deserto del Negev conosciuta in tutto il mondo per la Israeli Cyber Innovation Arena e in cui sorgerà il Finsec Lab, laboratorio su fintech e cybersecurity dell’italiana Enel X e dell’americana Mastercard Group (su Formiche.net i dettagli della commessa).
Un esperimento, quello di Beer Sheva, che è stato preso a modello dall’associazione CyberArea, nata qualche mese fa, che seguendo le indicazioni della presidenza del Consiglio dei ministri e del Dis in particolare, sostiene la creazione di aree dedicate allo sviluppo di ecosistemi cyber. “È un progetto che si inquadra all’interno della visione impostata con il Perimetro di sicurezza cibernetica”, spiega a Formiche.net Robert Hassan, presidente di CyberArea, organizzazione che vede un gruppo di lavoro composto tra gli altri da Luisa Franchina, Stefano Mele, Massimo Artini, Fabrizio D’Ambrogio ed Edoardo Colombo. “Un progetto che riguarda non solo la riqualificazione innovativa di spazi spesso inutilizzati ma soprattutto per portare a regime la collaborazione tra imprese, istituzioni e sistema universitario. Uno o più ecosistemi che si ritrovano a lavorare per la difesa del nostro Paese da un lato e per lo sviluppo di soluzioni innovative da portare sul mercato internazionale dall’altro, anche in collaborazione con quelle imprese e quei Paesi che hanno fatto della protezione un modello esportabile”.
Il primo parco al vaglio di CyberArea è il Cara di Mineo, come indicato nell’estate scorsa anche da Gianluca Rizzo, deputato siciliano del Movimento 5 Stelle e presidente della commissione Difesa della Camera. “Lo stiamo valutando insieme ai soggetti interessati”, spiega Hassan.
Il presidente di CyberArea racconta le ragioni dell’adozione del modello Beer Sheva. Il Finsec Lab, per esempio, spiega Hassan, “vede le istituzioni israeliane da tempo mettere budget rilevanti ed infatti l’Autorità per l’innovazione, il ministero delle Finanze e il National Cyber Directorate finanzieranno fino all’85% del budget le startup incubate nel laboratorio”. Difficile replicare in toto il modello in Italia — specie per quell’85% — ma è l’idea di ecosistema che sembra mancare ancora nel Paese. “L’Italia è partita con ritardo, per diverse ragioni”, conclude Hassan. “Ma ora sta correndo nella direzione giusta, grazie al Dis, e si trova ad avere degli strumenti, non solo normativi, all’avanguardia. Dobbiamo quindi tutti incentivare il processo di accelerazione per guardare a un futuro che veda i nostri figli primeggiare in Italia come sui mercati internazionali”.