Skip to main content

Putin in cerca di un plebiscito. La parata di Mosca letta da Savino

Di Giovanni Savino

A Mosca la parata della Vittoria, spostata dal 9 maggio al 24 giugno a causa dell’epidemia da coronavirus, si è svolta senza il clamore e la partecipazione degli anni scorsi. Sebbene la data del 24 giugno coincida con la prima sfilata militare del 1945, quando le truppe sovietiche deposero le insigni dei battaglioni e delle divisioni naziste ai piedi del Mausoleo di Lenin, sin dal 1995 è il 9 maggio, giornata della Vittoria, ad essere il momento dedicato alle commemorazioni.

Ed è proprio il 9 maggio e la vittoria nella Seconda guerra mondiale, qui denominata Grande guerra patriottica, a rappresentare il principale momento di coesione e identificazione comune in Russia. Tentativi di lavorare su altre date e festività diverse, in grado di poter essere definitivamente autonome dal passato sovietico, ve ne sono stati nel corso degli anni, dalla proclamazione del 4 novembre come Giornata dell’unità nazionale (nel novembre del 1612 vennero scacciati dal centro di Mosca i polacchi, dando così inizio alla fine dell’epoca dei torbidi) al recupero della memoria della Prima guerra mondiale, con l’apertura di monumenti e statue nel 2014, ma queste celebrazioni non sono state in grado nemmeno lontanamente di competere con la forza evocativa del 9 maggio.

Il 4 novembre è diventato appuntamento, nel corso degli anni sempre più minoritario, per le manifestazioni delle formazioni di estrema destra ultranazionaliste riunite nel fenomeno della Marcia russa (Russkii marsh), mentre la memoria della Prima guerra mondiale continua a pagare lo scotto di essere in ombra rispetto alla cesura del 1917 e della Guerra civile.

Le parate in onore della vittoria in Unione Sovietica si son svolte solo nel 1945, nel 1965, nel 1985 e nel 1990. Ad essere centrali, per la superpotenza, erano altre date, come il 1 maggio e il 7 novembre, e se la legittimità del sistema sovietico vedeva nel trionfo sul nazismo la propria conferma, nella festa internazionale dei lavoratori e nell’anniversario della rivoluzione vi era l’origine di quel sistema.

La Russia post-sovietica, scossa dai traumi della prima metà degli anni Novanta, si era trovata priva di proprie festività e “miti fondativi”. Lo sventato golpe del 1991 aveva un significato molto al di là della semplice realtà russa, e i primi anni avevano visto lo scontro tra Eltsin e il Soviet supremo sull’assetto da dare al paese, la tragica prima guerra cecena e il crollo delle condizioni di vita: il cinquantennale della vittoria nel 1995 sembrava poter riunire la società attorno a un evento comunemente condiviso, la memoria di un conflitto che ha portato via le vite di oltre 25 milioni di cittadini sovietici e ricordato in ogni famiglia, per il contributo enorme dato dalla popolazione.

Ma è dal 2005 che il 9 maggio assume caratteristiche diverse rispetto alla memoria sovietica e alle celebrazioni avutesi sino ad allora. Gradualmente si assiste a una ridefinizione dei contenuti e del contesto dell’anniversario, visto come culmine della storia millenaria della Russia come entità statuale, dagli antichi principati alla presa di Berlino, in una interpretazione senza soluzione di continuità delle glorie militari, dove Zhukov non è più il generale dell’esercito sovietico trionfatore, ma assurge ad eroe nazionale russo, assieme a Suvorov e ad Aleksandr Nevskij.

Al posto dei nastrini rossi, simbolo ricorrente delle grandi festività sovietiche, ecco spuntare il nastrino di San Giorgio, i cui colori nero ed arancione richiamano le decorazioni militari zariste, e spesso il ricordo doloroso dei terribili massacri compiuti dalle forze dell’Asse nei territori occupati passa in secondo piano rispetto alla retorica del “possiamo ripetere” (mozhem povtorit’), tema completamente assente nella propaganda sovietica.

La “russificazione” del 9 maggio negli ultimi anni diventa evidente anche rispetto all’interpretazione data degli avvenimenti della Seconda guerra mondiale da parte delle narrative dominanti in alcuni paesi dell’Europa orientale, dove accade di sottacere o minimizzare il ruolo svolto dalle formazioni nazionaliste locali nel contesto dell’Operazione Barbarossa e dell’Olocausto.

La mancanza di una riflessione storica in questo senso contribuisce ad alimentare l’idea del Cremlino di essere custode e difensore della vittoria sul nazismo, e la pubblicazione del lungo articolo di Vladimir Putin sulle cause della Seconda guerra mondiale, avvenuta pochi giorni fa, è un indice di questa preoccupante guerra della memoria.

Alexey Miller, direttore del Center for the Study of Cultural Memory and Symbolic Politics della European University di San Pietroburgo, ha più volte sottolineato come l’indignazione reciproca tra Mosca e le capitali dell’Europa orientale sia diventata la principale forma di dialogo, sabotando anche quei passi in avanti che erano stati compiuti nel passato, come il lavoro della commissione di storici russi e polacchi.

Nel 2009 vi erano stati gesti in tal senso, con le parole di Putin sulla condanna del patto Molotov-Ribbentrop e di ogni tipo di appeasement nei confronti della Germania nazista e di Tusk sull’importanza della liberazione della Polonia dai nazisti da parte dell’Armata Rossa. Ma gli avvenimenti del 2014 hanno lasciato il posto allo scontro, che si riflette nelle percezioni e nelle interpretazioni del passato.

La parata del 24 giugno non ha visto la partecipazione del pubblico, a causa della situazione epidemiologica tutt’altro che risolta (solo nella giornata del 23 vi sono stati altri 7134 casi da coronavirus). L’epidemia priva la celebrazione di un momento importante, particolarmente sentito nella percezione comune, la sfilata del Reggimento immortale (Bessmertnyi polk), iniziativa nata dal basso per commemorare i milioni di uomini e donne che hanno preso parte alla guerra.

Anche se da qualche anno l’iniziativa è stata presa sempre più sotto l’interessato controllo delle autorità, vi è sempre grande partecipazione e condivisione, in un momento in cui la memoria privata delle vicende del 1941-45 diventa parte di un sentimento popolare, sentito dai cittadini.

Se a inizio 2020 l’idea di celebrare i 75 anni in pompa magna sembrava essere naturale, e si attendevano tra gli ospiti Macron, Trump e la Merkel, nella forma ridotta presentata oggi ad essere presenti son stati i presidenti di Tagikistan, Uzbekistan, Kazakistan, Bielorussia, Moldavia, Serbia, Bosnia e delle repubbliche de facto di Abkhazia e Ossezia meridionale, e gli ambasciatori e i membri delle rappresentanze diplomatiche a Mosca. Vi è però un altro appuntamento che ha un interesse particolare per il Cremlino, ed è il voto del 1 luglio sulle modifiche costituzionali: da domani sarà possibile votare in formato elettronico o da casa, e la parata ha aperto la settimana politica, nella ricerca spasmodica del plebiscito.

 

×

Iscriviti alla newsletter