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Libia, Recovery fund e Unione europea. Se il piano di Di Maio passa da Berlino

Nel giorno del summit in video conferenza tra (a sorpresa) Xi Jinping e i leader dell’Unione europea, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ricevuto a Roma il collega tedesco Heiko Maas. Dopo il vertice tra capi di Stato e di governo di venerdì scorso, la partita sulle risorse dell’Ue resta in cima all’agenda politica. Prima l’incontro a Villa Madama, e poi le visite al comando dell’operazione europea Irini, accolti dall’ammiraglio Fabio Agostini, e quella all’Istituto Spallanzani di Roma, per altri due temi di cooperazione: il delicato dossier libico e il contrasto al Covid-19.

L’INCONTRO

Prima di tutto, però, la partita europea. Lo scorso venerdì, il Consiglio europeo tra i capi di Stato e di governo non ha permesso di superare le divisione tra Paesi membri, rimandando al prossimo mese la decisione sulle misure proposte della Commissione targata Ursula von der Leyen. Riguardano il “Next Generation Eu” da 750 miliardi (comprensivo del Recovery Fund), e il prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 per 1.100 miliardi. “Abbiamo molto apprezzato l’appoggio della Germania a un piano ambizioso”, ha detto Di Maio dopo l’incontro con Maas. “Le divergenze tra Stati membri europei restano però evidenti – ha ammesso il capo della Farnesina – Italia e Germania devono lavorare fianco a fianco per colmare queste distanze e trovare un accordo ambizioso il prima possibile”.

LE DIVISIONI NELL’UE

L’obiettivo dell’Italia è chiaro: mantenere elevato il pacchetto di misure a sostegno dell’economia continentale previsto da Bruxelles. “Non possiamo accettare di scendere a compromessi”, ha spiegato Di Maio. Resta da capire la posizione di Berlino sul tema. A metà febbraio, quando il Covid-19 non era ancora in agenda, il Consiglio europeo dedicato al quadro finanziario 2021-2027 era letteralmente scoppiato, definito da chi ha assistito ai lavori come “il più difficile di sempre”. A fronteggiarsi c’erano due gruppi di Paesi: i quattro frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) desiderosi di contenere il bilancio sotto l’1% del Pil complessivo, di preservare il “rebate” (rimborso per i contributori netti al budget comune) e di ridurre le risorse per agricoltura e coesione; e gli “amici della coesione”, quindici Paesi tra cui Italia, Spagna e Portogallo, a sostenere esattamente l’opposto.

IL FATTORE COVID-19

Il Covid-19 è poi piombato sui negoziati, mischiano tutte le carte e imponendo a Bruxelles il lancio di un piano ambizioso. Eppure, nel vertice di venerdì scorso le divisioni sono apparse sostanzialmente inalterate. Se per Giuseppe Conte la proposta dell’Ue è “equa e condivisibile” e “sarebbe un grave errore scendere al di sotto”, per la Finlandia la stessa appare “inaccettabile”, mentre per il cancelliere austriaco Sebastian Kurtz “il Recovery Fund non deve aprire la strada a un’unione del debito”. Nel mezzo Angela Merkel, a chiarire che “l’emissione di bond da parte della Commissione non è stata contestata” e che un accordo dovrà essere raggiunto “entro l’estate”. Ultima chiamata utile, dunque, il Consiglio europeo del prossimo mese.

IL RUOLO DELLA GERMANIA

La situazione potrebbe sbloccarsi proprio grazie alla Germania. Secondo alcuni osservatori, dietro le resistenze dei “quattro frugali” palesatesi a febbraio si celava Berlino, apparentemente più defilata, ma forse vero artefice della linea frugale. Ora, la chiave di volta potrebbe essere la maggiore predisposizione tedesca per un’Unione più ambiziosa sul piano delle risorse, da cui l’obiettivo italiano di consolidare i rapporti con Berlino. Il tutto, mentre la Germania si prepara ad assumere la presidenza dell’Ue per il prossimo semestre, potendo contare sull’ex ministro della Difesa von der Leyen al vertice dell’organo esecutivo comunitario. “Il valore aggiunto della presidenza tedesca sarà l’autorevolezza di un Paese fondatore, che anche in questi negoziati per superare la crisi ha mostrato il suo peso determinante”, ha detto Di Maio oggi.

IL DOSSIER LIBICO

Un peso determinante che si spera possa estendersi anche al dossier libico. Lo scorso gennaio, la Conferenza sul futuro della Libia (quella che ha permesso un, seppur limitato, cessate-il-fuoco) si è tenuta a Berlino. Oggi, mentre Di Maio e Maas visitavano il comando della missione Irini, un’alta delegazione degli Stati Uniti faceva visita al governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al Serraj. Il tutto, dopo “la linea rossa” descritta dal presidenza egiziano Abdel Fatah al Sisi che, se superata, giustificherebbe ogni intervento del Cairo. Corrisponde ai centri di Sirte e Al Jufra, le ultime roccaforti di Khalifa Haftar in Tripolitania. “Ci preoccupa la situazione sul terreno in Libia”, ha detto oggi Di Maio, chiudendo la porta “ai tentativi di partizione” del Paese, e affermando di aver portato nel recente viaggio in Turchia “un messaggio di moderazione”.

… E L’OPERAZIONE IRINI

C’è inoltre da aumentare l’efficacia dell’operazione EuNavForMed-Irini. “Ci sono troppe violazioni dell’embargo imposto dall’Onu”, ha notato il ministro tedesco Maas, dicendo che la missione Ue andrebbe rafforzata per “raggiungere la sua forma più efficace”. La visita al comando di Centocelle, “è servita a capire cosa dobbiamo fare per rafforzare Irini, che è determinante per il processo politico e per portare stabilità in Libia”, ha aggiunto dopo l’incontro con il comandante Agostini. Irini ha iniziato le operazioni il 4 maggio con la fregata francese Jean Bart e un aereo da pattugliamento marittimo del Lussemburgo, a cui poi si sono aggiunti un ricognitore polacco, uno greco e la fregata greca Spetsai. Dal 6 giugno partecipa anche l’aereo da ricognizione marittima di lungo raggio P-3C Orion, messo a disposizione dalla Germania. Per l’Italia, la delibera sulle missioni internazionali attualmente in discussione in Parlamento prevede un contributo di 500 militari, un’unità navale e tre mezzi aerei.

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