Skip to main content

Politicamente corretto, populismo e puritanesimo. Scrivono Curini e Molle

Di Luigi Curini e Andrea Molle

Diceva Edmund Burke, il celebre Cicerone britannico, che l’umanità si governa con la frode, l’inganno e lo spettacolo. Gli uomini, gli fanno eco i grandi scrittori della fantascienza e dintorni del ‘900, George Orwell e Philip K. Dick tra tutti, sono dopotutto facilmente manipolabili, grazie ad una alterazione continua, incrementale, delle parole e dei simboli. Se controlli il significato delle prime e il contenuto dei secondi, magari anche inventandone di nuovi di sana pianta, controlli infatti anche le persone che li usano e, da ultimo, la realtà che le circonda. Dopotutto, come ci ricorda Habermas, le parole “fanno cose”.

Il populismo, di destra, quello per intenderci dei rosari e degli “immigrati nuovi barbari”, o di sinistra, quello delle statue brutte e cattive e dei poliziotti tutti assassini (anche quelli dei cartoni animati, beninteso), non si riduce, in fondo, che a questo: ad una continua lenta manipolazione di parole e simboli, urlando dal palcoscenico (virtuale) dei social media o dalle cattedre (reali) di qualche prestigiosa università ad oltranza, come un mantra, fino a che tale manipolazione smette di esserlo per diventare realtà, o almeno la nuova realtà fino a che anche questa non viene buttata giù, perché non più utile a chi la propugna.

Il metodo è da sempre lo stesso: quello del radicalismo, ovvero della progressiva estremizzazione dei contenuti, accoppiato ad un moralismo esasperato, quello che impone di dimostrare sempre di essere i migliori, i più puri, i più logici, i più dotati di buon senso, a scapito degli altri che diventano, inevitabilmente, dei bigotti privi di intelletto. Un metodo che funziona tanto più il pubblico vive in uno stato di oltraggio perenne perché, come diceva Machiavelli, quanto più le persone sono, o si sentono, offese, tanto più sono trasportabili dove si vuole esattamente come un metallo che diventa plasmabile col calore.

Oggi forse ancora più di ieri. Pensiamo al puritanesimo, con il vestito nuovo del politicamente corretto, per le strade americane (e non solo). Un puritanesimo che oggi è alla ricerca di una forma di purezza ancora più inarrivabile di quella divina; la completa superiorità morale che spetta solo, ed unicamente, ai suoi alfieri. Come i cosiddetti “leoni da tastiera”, i “social justice warriors”, che muovendosi in una bolla cacofonica urlano e sbavano contro tutto e tutti solo per il fatto che qualcuno osa non pensarla, esattamente, come loro.

Ai nuovi politicanti da operetta, ben distanti dai Principi fiorentini, non resta allora che scegliere un target di scontenti perenni e impegnarsi a dirgli che, in fin dei conti, si è esattamente come questi ultimi, mentre nel frattempo si anestetizza ogni opinione contraria. Dimentichiamoci dunque i politici intenti a raccogliere le diverse istanze e gli interessi contrastanti di un paese e, nella cornice di valori di base condivisi, offrire delle soluzioni ragionevoli. Quello è il passato, bellezza! E scordiamoci anche la manipolazione come vissuta fino all’altro ieri. La vera novità della politica in cui stiamo vivendo oggi giorno è che al politico non interessa più convincere le masse di aver ragione, ma semmai solamente persuaderle che la si pensa esattamente come loro. Meno rischioso, e più redditizio. Perché, dopotutto, loro non hanno sempre ragione?

La nuova virtù del Principe non è dunque né di essere il coraggioso leone né di essere l’astuta volpe, ma solamente il tizio che regge meglio l’alcool in una discussione da bar dello sport: un cinghiale insomma. Magari vestito all’ultimo grido, con i titoli di studio giusti, e che piace alla gente che piace. E al cinghiale, una volta identificata una potenziale (meglio se consistente) fetta di elettori con opinioni abbastanza simili, tutte arrabbiate contro gli stessi cattivi (reali o immaginari), basta fare in modo che questi si allineino ulteriormente ed il gioco è fatto.

Forse è troppo tardi, ma sarebbe bene cominciare ad ammettere che il problema siamo dunque noi e non la politica per sé. I politici non sono pericolosi perché fascisti se siamo comunisti, o comunisti se siamo cattolici, o sovranisti se siamo europeisti, e viceversa, ma perché oramai si sforzano solo di assomigliarci. Troppo.


×

Iscriviti alla newsletter