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Tutti i dubbi sul caso Venezuela- M5S. Parla Politi

C’è un filo che lega il Venezuela di Nicolás Maduro con l’Italia? Quanto è forte e visibile? Ma davvero il presunto finanziamento del regime venezuelano al Movimento 5 Stelle nel 2010 è stato fatto attraverso una valigetta diplomatica piena di contanti?

Molti sono gli interrogativi che restano ancora nell’aria, ma che rischiano di perdersi di fronte ad argomenti più imperativi. Il tutto però deve passare per la verifica dell’autenticità dei documenti mostrati dal quotidiano spagnolo Abc, che sono stati scintilla dello scandalo.

È questa la considerazione introduttiva di Alessandro Politi, analista politico ed strategico. In una conversazione con Formiche.net, Politi sottolinea che se ci sono elementi di dubbio sulla correttezza del documento, sui timbri e l’intestazione, è necessario che il problema sia chiarito perché il rischio è di essere in presenza di un falso. E prosegue sulla transazione finanziaria: “Un’altra informazione che, anche questa non si trova in giro facilmente, è se effettivamente una valigia diplomatica con dei soldi, sia arrivata per canali diplomatici all’ambasciata venezuelana. La cosa peggiore è che, anche se fosse disponibile, il governo italiano non dirà mai di conoscere questo tipo di dettaglio per ovvi motivi. Ci vuole grande cautela perché c’è un dibattito molto acceso, e se il documento non risulta credibile, non ha molto senso”.

Sulle affinità tra il Movimento 5 Stelle e il regime di Maduro, l’analista pensa che è un aspetto abbastanza curioso: “Quando un partito decide di appoggiare un altro partito o governo che sente fratello e affine, non è una scelta sulla base di criteri accademici o politologici, è una scelta politica. […] La fratellanza politica è un criterio che non si presta a definizioni scientifiche rigorose”.

Secondo Politi, la posizione timida dell’Italia nel condannare il totalitarismo del regime di Maduro nasce dalla debolezza della politica interna. “Quando c’è stata la questione di Guaidó, non è che avessimo governi decisi a tutto e monoliticamente compatti – ricorda Politi -. C’erano dei componenti che non credevano all’importanza di un cambio di regime. Oppure, credevano che fosse importante ma non opportuno agire così con quegli strumenti o quella linea politica, portata dal Paese che più voleva questo cambio di regime”.

L’esperto non esclude una spiegazione più semplice, “perché a volte le spiegazioni più semplici non sono lontane dal vero. La conclusione potrebbe essere: ‘Questo è un affare molto lontano, teniamoci fuori perché non ci sono interessi diciamo così vitali o grandi da giustificare una nostra presa di posizioni, in una situazione interna molto complessa e molto incerta. Dallo schierarci non ci guadagniamo granché’”.
In generale, secondo Politi, “buona parte delle posizioni dei nostri governi non si prende in base a una visione politica, ma in base a una visione che generosamente possiamo chiamare pragmatica”.

Sulla crisi venezuelana a livello internazionale, Politi crede che non sia stata gestita con la professionalità dei vecchi tempi: “C’è stata una confusione politica e comunicativa estremamente forte, questo tipo di faccende non erano gestite così e visti i risultati si può dire che non si gestiscono così”.

Infine, invita a non pensare che Mosca abbia il ruolo influente che si pensa nella regione: “La Russia è un Paese che ha poche idee, ma molto chiare, su quale vuole essere la sua posizione nel mondo. E soprattutto capisce come dare fastidio a una serie di Paesi a costo bassissimo”.

Politi ricorda quando sono stati inviati due bombardieri nucleari a fare scalo a Caracas: “Sembrava che avessero schierano i missili a Cuba. A parte che i tempi della crisi missilistica a Cuba erano la risposta ai missili statunitensi in Italia e in Turchia, cosa che tendiamo a dimenticarci, ma non era così. Era un gesto simbolico, ma Mosca ne ha tratto ogni vantaggio propagandistico. Ma si sa che i fatti sono testardi e la propaganda dura poco”.

Sebbene i russi abbiano promesso di aprire la base di Lourdes a Cuba, la più grossa base di ascolto e di intelligence elettronica dell’emisfero occidentale americano, l’America Latina non è tra le loro priorità: “I legami sono ovvi, innanzitutto per antiche simpatie terzomondiste ogni volta che c’è la possibilità. E anche per la chiara necessità di fare sentire la presenza russa in quello che ancora viene considerato una sfera di presenza – non più di influenza – statunitense, ma non bisogna esagerare. Le priorità russe sono altrove, in Ucraina, in Siberia e in Siria”.



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