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Di Maio, le fregate all’Egitto e l’export militare. Il nodo aperto della legge 185

Non è ancora stata finalizzata la procedura di vendita di due fregate all’Egitto. È questa l’unica certezza dopo giorni di dibattito e indiscrezioni, tra pacifismi, proteste ideologiche e una lettura dei rapporti internazionali spesso lacunosa di realismo. Oggi, sul tema è intervenuto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, chiarendo alcuni aspetti della vicenda.

LE PAROLE DI DI MAIO

“La procedura autorizzativa alla conclusione della trattativa per le fregate Fremm Fincantieri è tuttora in corso”, ha detto oggi Di Maio. “Oltre al vaglio di natura tecnico-giuridica, il governo ovviamente ha ritenuto di svolgere una valutazione politica che è in corso a livello di delegazioni di governo sotto la guida del presidente del Consiglio dei ministri”. In altre parole, “il tema delle vendita di armamenti all’Egitto va affrontato tenendo presente due ordini di valutazioni, entrambe importanti: le regole e la sensibilità politica”.

TRA POLITICA E LEGGE

Per quanto riguarda il piano politico, nonostante le insofferenze di Leu e di una frangia del M5S, il nodo sembra essersi sciolto, con la conferma al via libera che sarebbe stata comunicata direttamente dal premier Giuseppe Conte nel recente colloquio telefonico con il presidente Fattah al Sisi, consapevoli che, ha detto Di Maio, “il governo e le istituzioni italiane continuano a esigere la verità dalle autorità egiziane attraversi una reale, fattiva ed efficace cooperazione”. Sul piano normativo, il ministro degli Esteri ha fatto riferimento alla legge 185 del 1990, secondo la quale “il governo esamina caso per caso le richieste delle imprese italiane di autorizzazione a trattative contrattuali di fornitura e poi all’esportazione”.

LA LEGGE 185 DEL 1990

Le parole di Di Maio non chiariscono granché sulla vendita all’Egitto, se non aumentare le incertezze sulla buona riuscita di una commessa che sarebbe importante per l’Italia. La legge 185 del 1990 contiene le “norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. L’articolo uno chiarisce che l’export è vietato, tra gli altri, verso i Paesi “in stato di conflitto armato” e quelli “i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”.

SI PUÒ VENDERE ALL’EGITTO?

Basta una rapido sguardo al contesto internazionale per capire che un’interpretazione rigida della norma metterebbe in discussione gran parte dell’attuale export italiano della Difesa, comunque passato all’attento vaglio alla luce della 185.  Senza contare poi che, in caso di stop di vendite italiane, la domanda dei Paesi compratori resterebbe invariata, andando a ricadere dunque verso proposte alternative, magari di Stati con meno peli sullo stomaco e per nulla intenzionati ad esercitare alcuna pressione su temi di diritti umani e libertà fondamentali.

IL PARADOSSO NORMATIVO

Come notava Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), stupisce da questo punto di vista “la logica dei due pesi e due misure”. Difatti, spiegava l’esperto, “non si è registrata una protesta analoga a quella che è cominciata verso l’Egitto nei confronti della Turchia per la repressione avviata dopo il tentativo di colpo di stato del 2016 o nei confronti della Cina per quanto sta avvenendo da quasi un anno ad Hong Kong, o dell’Iran per la repressione delle proteste popolari o, infine, nei confronti del Venezuela per aver spinto milioni di cittadini a fuggire all’estero”.

LA REVISIONE SECONDO TRICARICO

Il “paradosso” è evidenziato anche dal generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa: “L’assurdo è che una lettura rigida della normativa non permetterebbe di esportare nemmeno a tanti alleati, Stati Uniti compresi, considerando le misure messe in campo negli ultimi giorni contro le proteste”. Emerge dunque un problema non nella lettura politica, quanto nella normativa stessa. “Serve un’urgente revisione della legge 185 del 1990, e certamente non in senso restrittivo come qualcuno ha proposto”. Difatti, “se si dovesse fare una radiografia generalizzata dei Paesi verso cui esportiamo, non se ne salva uno”.

LA LETTURA STRATEGICA

A tutto questo si aggiunge la valutazione strategica delle vendite in campo militare, utili per rafforzare rapporti con alcuni Paesi-chiave per i propri interessi nazionali. È il caso dell’Egitto, ormai interlocutore rilevantissimo per l’intricato dossier libico. Per questo, la presidente della commissione Difesa del Senato, Laura Garavini, ha spiegato che “ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni e Patrick Zaki è un imperativo per il nostro Paese, e lo Stato deve fare di tutto per pretenderle, con fermezza e chiarezza; l’Italia, però, deve anche lavorare efficacemente per la sicurezza dei suoi cittadini, per la pace e la stabilità”, soprattutto nella turbolente regione del Mediterraneo, densa di sfide e minacce.

IL VALORE DEI RAPPORTI CON L’EGITTO

Tutto ciò, ha rimarcato Garavini, “non fa venire meno le esigenze di verità e fermezza in merito al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali della persona e al percorso da compiere per ottenerne la garanzia”. In altre parole, la condanna è giusta, ma non può tradursi nel blocco plateale a una vendita funzionale agli interessi italiani. “Non si tratta solo di una fredda analisi geopolitica, ma del destino di centinaia di migliaia di persone, considerando le sofferenze che potrebbero derivare da un ulteriore peggioramento degli squilibri e della tensione nell’area”. Dunque, “per aiutare un Paese e spingerlo nella direzione del diritto non servono le prove di forze e i ricatti, ma un’azione diplomatica e di cooperazione efficace”, ha detto ancorala Garavini.

IL MESSAGGIO POLITICO

La linea di Italia Viva si affianca a quella del Pd. Alberto Pagani, membro della commissione Difesa di Montecitorio e Carmelo Miceli, responsabile della Sicurezza nella segretaria nazionale, hanno scritto oggi che la scelta del governo sul via libera alla vendita “è ragionevole e politicamente opportuna; legare le decisioni su un tema di questa portata solamente alla giusta insoddisfazione per l’inconcludenza delle indagini sul caso Regeni sarebbe l’espressione di una visione politica angusta, che non offrirebbe certo più opportunità alla ricerca della verità e della giustizia a cui tutti miriamo”.

LA DIMENSIONE ECONOMICA

Infine, alla valutazione strategica e politica, c’è da aggiungere quella economia e occupazionale. La vendita delle due Fremm Nave Spartaco Schergat e Nave Emilio Bianchi potrebbe aggirarsi intorno a un valore di 1,2 miliardi di euro. Se fosse confermato l’inserimento in un’intesa più ampia per altre quattro fregate, venti pattugliatori, 24 caccia Eurofighter e altrettanti addestratori M-346, potrebbe avvicinarsi a 11 miliardi, con ricadute positive (anche sull’occupazione) per l’intera filiera nazionale, dai big alle Pmi. Non bisogna dimenticare che l’Egitto è già un partner importante della difesa italiana. Secondo la relazione annuale dell’Uama (l’autorità nazionale della Farnesina per i movimenti di materiali della difesa) nel 2019 ha rappresentato la prima destinazione dell’export italiano con autorizzazioni per circa 872 milioni.

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