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Chi sono i repubblicani che si oppongono al ritiro Usa dalla Germania

Sono 22 i deputati del Partito repubblicano che hanno scritto a Donald Trump per chiedere di non ritirare dalla Germania 9.500 militari. Si parla ancora delle indiscrezioni di stampa riportate dal Wall Street Journal e da Reuters, ma la missiva (con firme autorevoli) lascia un’aura di ufficialità alla questione, confermando quantomeno che l’ipotesi sia davvero sul tavolo della Casa Bianca, forse anche già su quello del Pentagono.

LA LETTERA

Primo firmatario è il deputato Mac Thornberry, ranking member per i repubblicani presso la commissione Difesa della Camera dei rappresentanti. Ci sono con lui altri 21 colleghi di partito e di commissione (su un totale di 26 repubblicani nell’Armed Service Committee) tutti a dirsi “molto preoccupati” delle indiscrezioni di una consistente riduzione della presenza americana dalla Germania, da 35mila unità a 24.500, tutto a partire dal prossimo settembre. “Crediamo che un simile passo danneggerebbe in modo significativo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, oltre a rafforzare la posizione della Russia a nostro detrimento”.

SE I MILITARI TORNANO IN PATRIA

Il riferimento a Mosca sembra svelare un dettaglio in più circa l’ipotesi di ritiro parziale. Ancora non è noto infatti se i presunti 9.500 militari torneranno negli Stati Uniti oppure verranno dispiegati in altri Paesi europei. Fino ad ora, la seconda ipotesi era la più accreditata, con la Polonia data come favorita di un potenziamento della presenza militare americana, complice l’attuale ottimo rapporto tra Varsavia e Washington. Tale ipotesi è tra l’altro in linea con gli obiettivi strategici Usa; i documenti di riferimento (National Security Strategy e National Defense Strategy) pongono l’assertività russa accanto a quella cinese tra le prime minacce alla sicurezza nazionale, a cui rispondere con la classica (ma più moderna) deterrenza.

I TIMORI REPUBBLICANI

Ora, con 21 deputati a dire che il ritiro dalla Germania indebolirebbe la capacità di deterrenza sulla Russia, acquista più forza l’ipotesi del ritorno in Patria per i militari americani. Se questi andassero in Polonia o in altri Paesi dell’est Europa, infatti, non ci sarebbe ragione per temere un depotenziamento della pressione su Mosca. E così, la deputata Liz Cheney, che per prima aveva criticato l’eventuale mossa dell’amministrazione, spiega che “il ritiro delle nostre forze e l’abbandono degli alleati avrebbero gravi conseguenze, incoraggerebbero gli avversari e renderebbero la guerra più (e non meno) probabile”.

LE INSOFFERENZE PER LA GERMANIA

Nella lettera dei 22 repubblicani non scompaiono comunque alcune critiche alla Germania. “Crediamo fortemente che gli alleati della Nato, come la Germania, dovrebbero fare di più per contribuire agli sforzi comuni di difesa”, scrivono i repubblicani. “Allo stesso tempo però, sappiamo anche che la permanenza avanzata di truppe americane dalla fine della Seconda guerra mondiale ha aiutato a prevenire un altro conflitto globale e, ancora più importante, ha contribuito a rendere l’America più sicura”. Le ragioni per essere insoddisfatti dei tedeschi dunque ci sarebbero (dal fatidico 2% in ambito Nato, alle turbolenze politiche sulla partecipazione al deterrente nucleare dell’Alleanza), ma non così corpose da giustificare il cospicuo ritiro. Tra l’altro, i messaggi pervenuti dal governo di Berlino negli ultimi giorni (qui un focus) sembrano indicare il tentativo di evitare la rottura con Washington.

I RAPPORTI TRA CASA BIANCA E PENTAGONO

La situazione resta però incerta. Mancano d’altra parte notizie ufficiali, conferme o smentite sia dalla Casa Bianca, sia dal Pentagono, per lo più in un momento di rapporti piuttosto tesi tra le due istituzioni. Ieri, il Wall Street Journal ha raccontato di un presidente Donald Trump “furioso” con il segretario Mark Esper, reo di aver preso le distanze dal ricorso ai militari per sedare le proteste innescate dall’uccisione di George Floyd. Solo i più fidati consiglieri (tra cui Mike Pompeo e i deputati Tom Cotton e James Inhofe) sarebbero riusciti a fermare il tycoon dal chiedere ad Esper di lasciare il dipartimento della Difesa, tra l’altro già pronto con una lettera di dimissioni. A sentire la portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany, la crisi sembrerebbe rientrata, ma in molti sospettano che la frattura è destinata a perdurare.

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