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Da Obama a Trump, gli Usa non vogliono una Germania forte. Lo spiega Dottori

Cina, G7, Nato e Unione europea sono, come raccontavamo alcuni giorni fa su Formiche.net, i temi al centro dello scontro tra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Germania di Angela Merkel.

Secondo Germano Dottori, docente di Studi Strategici alla Luiss-Guido Carli, Washington non vuole che Berlino sia troppo forte, che esprima interessi non allineati ai propri, specialmente in un periodo di crescente rivalità con la Cina.

Intervistato da Agenzia Nova dopo la decisione dell’amministrazione Trump di ritirare di 9.500 militari dalla Germania, Dottori spiega: “Premesso che l’intenzione annunciata da Trump non è detto che poi si materializzi, anche se l’intenzione del presidente è davvero quella di procedere a questo rimpatrio, molto dipenderà da ciò che accadrà alla presenza militare americana nella regione del Baltico e comunque nei paesi europei più vicini alla Federazione Russa. È comunque un dato che da qualche tempo i rapporti tra Washington e Berlino non siano particolarmente cordiali”. 

Dottori ha spiegato inoltre che “non è una circostanza che dipenda da Trump, perché esistevano difficoltà anche ai tempi di Obama. Gli Stati Uniti non desiderano una Germania troppo forte, che esprima interessi non allineati ai propri, specialmente in un periodo di crescente rivalità tra Washington e Pechino. E segnalano la loro insoddisfazione. È significativo che la notizia del rimpatrio dei militari americani sia stata data dopo la rinuncia di Angela Merkel a recarsi negli Stati Uniti in occasione del G7 che avrebbe dovuto tenersi questo mese ed è stato poi cancellato”, osserva il professore. 

Secondo il docente Luiss, se davvero i militari statunitensi lasceranno la Germania, il primo elemento importante da verificare è se torneranno tutti a casa oppure, almeno in parte, saranno semplicemente trasferiti in altri Paesi europei. “Dirottarli verso il Baltico o il Mar Nero”, nota Dottori, “significherebbe mantenere una significativa pressione sulla Russia, portarli in Italia, invece, l’esatto contrario. Siamo comunque nel pieno di una campagna elettorale difficilissima per Trump, che intende ottenere risultati politicamente spendibili in vista del voto. L’idea del G11 è parsa una boutade, invece non lo è: su Berlino saranno esercitate pressioni. Non resta che attendere ed osservare, evitando strappi che nuocerebbero molto ai nostri interessi nazionali”.

Nei giorni scorso, intervistato da Formiche.net, Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma Attori globali dell’Istituto Affari Internazionali, spiegava:  “La cancelliera Merkel, che ha sempre una visione di lungo periodo, in questo caso, sta cercando di limitare antagonismo con la Cina nonostante i suoi margini si siano ridotti a causa dello scontro tra le due superpotenze. Così si spiega il suo wait and see senza fughe in avanti e la sua risposta alla crisi di Hong Kong”.

L’ascesa della Cina è inevitabile quanto la sua potenza innegabile, è questa l’idea della Merkel, spiegava ancora Alcaro. “Per questo, sta cercando di impostare il confronto in termini sulla scia degli ex presidenti statunitensi Richard Nixon e Jimmy Carter, soprattutto il secondo. L’intento dell’asse con la Cina del primo era in chiave antisovietica. Il secondo aggiunse una postilla fondamentale alla dottrina nixoniana: la relazione sinoamericana non può essere limitata all’ostilità verso l’Unione sovietica ma serve creare pilastri di dialogo costruttivo che sostengano un rapporto con un enorme carico di differenze e potenziali conflittualità. È la strada seguita da tutti i presidenti successivi, fino a Trump”.


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