Il quotidiano inglese The Telegraph pubblica un’intervista nel quale sir Richard Dearlove, capo del Secret Intelligence Service inglese (più noto come MI6) dal 1999 al 2004 afferma di “credere che la pandemia di Coronavirus sia iniziata per via di un incidente quando il virus è sfuggito da un laboratorio in Cina” (he believes the coronavirus pandemic “started as an accident” when the virus escaped from a laboratory in China) e si domanda se, casomai la Cina dovesse ammettere una responsabilità, accetterebbe anche di risarcire i danni.
Veridicità o meno delle tesi affermate, questo articolo merita di essere inserito in un manuale di guerra dell’informazione perchè contiene tutti i classici elementi di una PsyOps, tanto sottilmente impiegati, quanto complessivamente in grado di produrre l’effetto (dis)informativo desiderato.
L’argomento è quello che tiene banco dall’inizio della pandemia: la ricerca delle responsabilità per l’esplosione del contagio che si è tradotta nell’ossessiva (e fino ad ora infruttuosa) ricerca di prove sul coinvolgimento della Repubblica Popolare Cinese e nell’utilizzo di argomenti retorici che cercano di sopperire all’assenza di prove creando una percezione diffusa, nell’opinione pubblica, che a prescindere da “cavilli”, le cose sono andate effettivamente in quel modo.
Se fossimo di fronte a un’operazione di guerra informativa, e dunque volessimo “leggere” l’articolo del Telegraph in questo contesto, si potrebbe dire che la strategia sarebbe composta da tre elementi: obiettivo, mezzo e fine.
L’obiettivo immediato è quello di reiterare la narrativa – fino ad ora non supportata da prove – sulla responsabilità della Cina nella diffusione del Coronavirus.
Il mezzo è l’impiego è una sorta di “ancoraggio” di questa narrativa alla percezione pubblica tramite il ricorso a figure di altissimo profilo.
Il fine è quello di esercitare pressione sulla Cina perché rinunci, almeno in parte significativa, al suo strapotere economico e alla stretta che esercita sui grandi Paesi occidentali tramite il controllo del loro debito pubblico.
IL VETTORE INFORMATIVO
Cominciamo dalla parte più semplice, il “vettore informativo”. The Telegraph è un quotidiano di area conservatrice pubblicato dal 1865 che ha ospitato, fra i suoi corrispondenti, l’attuale Primo Ministro inglese (Alexander) Boris (de Pfeffel) Johnson. Se è vero che “il mezzo è il messaggio”, la scelta dell’orientamento politico del giornale tramite il quale veicolare la notizia è estremamente indicativa, specie considerando che la forma scelta è quella dell’intervista esclusiva.
L’INTERVISTATO
Veniamo all’intervistato: Sir Richard Dearlove è dichiaratamente conservatore, e sostenitore della Hard Brexit. Anche se è “fuori dal giro”, almeno formalmente, dal 2004, è molto probabile che sia rimasto in contatto con il mondo del quale ha fatto parte per decenni. L’effetto complessivo è, dunque, quello di una persona che è stata parte ai massimi livelli degli interna corporis del potere e dunque dotata di autorevolezza intrinseca. Quindi, “se lo dice lui” vuol dire che sarà vero.
Questa è l’applicazione inversa del principio di competenza, sintetizzato mirabilmente nell’esclamazione ne supra crepidam, sutor! e che ha caratterizzato il pensiero socratico: il fatto di essere competenti in un settore non implica esserlo in altri campi. E’ intuitivo che sia così, ma l’espediente funziona (troppo) spesso e dunque una dichiarazione proveniente da una figura del livello di Sir Dearlove ha un valore intrinseco che la rende più facilmente “assorbibile” dai lettori a prescindere dal merito.
LA STRUTTURA DELL’ARGOMENTAZIONE E LE PAROLE-CHIAVE
Analizziamo ora il messaggio e in particolare la struttura dell’argomentazione.
Il “gancio” al quale sono appesi tutti gli altri anelli della catena logica è il fatto che Dearlove dichiara di avere visto un “importante” (le virgolette sono nel testo originale) nuovo studio scientifico che suggerisce che il Coronavirus sia stato costruito dagli scienziati cinesi.
Le parole chiave sono “visto”, “importante”, “nuovo”, “scientifico” e “suggerisce”.
Il fatto che Dearlove abbia una indubbia competenza nel settore dell’intelligence non lo trasforma in un genetista o in un virologo. Anche se nulla esclude che abbia sviluppato conoscenze in queste materie, la sua biografia pubblica gli attribuisce una laura in storia.
Dunque, il fatto che abbia “visto” uno studio scientifico non implica che ne abbia “capito” il significato. Questo vuol dire che deve essersi affidato all’abstract o alle conclusioni, come fa chiunque deve confrontarsi con documenti altamente complessi dal punto di vista tecnico, senza essere esperto del campo.
L’uso della parola “importante” è ambiguo perché non si capisce a cosa si riferisca. Lo studio è “importante” perché dimostra che l’approccio degli autori nella creazione del vaccino da parte dell’azienda per la quale lavorano è quello corretto? O perché sostiene la teoria che il Coronavirus abbia origini di laboratorio?
Accentuare il fatto che lo studio sia “nuovo” implica indurre la percezione che gli autori avrebbero scoperto qualcosa che tutti gli altri non sarebbero stati in grado di vedere. Il che non è un male in sé dato che la scienza funziona esattamente in questo modo, ma è l’uso della parola “scientifico” a sollevare dubbi.
Sull’uso della parola “scientifico”. Riferisce il Telegraph che il primo studio cui si riferisce Dearlove è stato rifiutato da diverse riviste di settore e conteneva accuse esplicite contro la Cina poi eliminate nella versione definitiva. Inoltre, precisa che le conclusioni dello studio sono state messe in dubbio da autorevoli istituzioni di ricerca e uno dei contributori, consulente scientifico dell’esercito norvegese, si è chiamato fuori da questo lavoro. Ciò che il Telegraph non scrive, invece, è che il fatto che un articolo sia accettato per la pubblicazione su una rivista scientifica non vuol dire che sia automaticamente corretto. La pubblicazione, infatti, vuol dire soltanto che l’articolo rispetta degli standard minimi per essere veicolato con l’imprimatur della rivista. Ma questo non ne valida i risultati, dal momento che ciò può accadere soltanto a fronte della verifica indipendente delle conclusioni.
L’esempio di questi giorni è la Expression of concers pubblicata da The Lancet su un articolo relativo all’efficacia della idrossiclorochina nella cura dell’infezione da Coronavirus i cui risultati sono stati messi in discussione proprio a seguito della pubblicazione dell’articolo sulla rivista scientifica.
Infine, a ultieriore supporto della tesi principale (il Coronavirus è un prodotto di laboratorio) il Telegraph cita un altro studio degli stessi autori che, però, non è stato ancora accettato per la pubblicazione da nessuno e quindi (ma questo il Telegraph non lo dice) non è stato nè verificato dal punto di vista della solidità del metodo, nè da quello dell’attendibilità dei risultati.
La prima conclusione, dunque, è che lo studio “visto” da Dearlove è “scientifico” nel metodo, ma non necessariamente nei risultati. La differenza non è immediata, ma è di importanza fondamentale ai fini dell’effetto persuasivo dell’argomentazione.
Se, infine, a “nuovo” e “scientifico” affianchiamo “suggerisce” allora dobbiamo concludere che siamo di fronte a una congettura e non a un fatto.
IL RINFORZO DEL VALORE DI VERITÀ DEL MESSAGGIO
Anche se non sembra esperto di genetica e virologia, Sir Dearlove è sicuramente competente in intelligence, ma questo non lo trasforma in una fonte autorevole. Anzi, proprio il suo ruolo di capo del MI6 “suggerisce” di prendere cum grano salis le sue dichiarazioni che ben potrebbero essere, a loro volta, parte di una PsyOps.
Il sospetto viene considerando che la convinzione che il Coronavirus sia sfuggito da un laboratorio non deriva, in realtà, da nuove informazioni o da fonti dirette, ma da una conferma tautologica. Il virus è artificiale perchè lo ha detto il Segretario di Stato Usa Pompeo e perché anche gli Australiani hanno chiesto un’idagine sulla diffusione del Coronavirus. Gli stessi Australiani ai quali “governi preoccupati dal Covid-19 avevano “passato” un dossier sulle responsabilità cinesi. Peraltro, non sfuggirà al lettore attento la circostanza che la notizia in questione è stata diffusa dal Daily Telegraph australiano che fa sempre parte della galassia Telegraph il che evidenzia una qualche “circolarità” nella validazione delle fonti. Un classico esempio di argumentum ad populum.
CONFIRMATION BIAS E SELEZIONE DEGLI ARGOMENTI
L’articolo del Telegraph in ossequio alle regole del buon giornalismo da atto anche di informazioni che contraddicono le opinioni di Sir Dearlove, Questa scelta, però, può anche essere l’applicazione di una tecnica consolidata nella gestione delle criticità, in base alla quale dichiarando in anticipo i punti deboli di una certa posizione si evita, o si riduce grandemente, la possibilità di essere accusati della diffusione di notizie parziali e incomplete. Inoltre, ancora una volta, in applicazione di una tecnica classica della persuasione indiretta, offrire informazioni suggestive a chi è già convinto di una certa “verità” provoca il rifiuto di prendere in considerazione argomenti controfattuali pur presenti nello svolgimento generale del tema.
L’AMBIGUO VALORE COMPLESSIVO DI VERITÀ DELL’AFFERMAZIONE INIZIALE
La frase iniziale dell’articolo “In an interview with The Telegraph, Sir Richard Dearlove said he had seen an “important” new scientific report suggesting the virus did not emerge naturally but was man-made by Chinese scientists” andrebbe quindi riformulata in “il capo del Secret Intelligence Service, in pensione da oltre quindici anni, crede che il Coronavirus non sia di origine naturale, avendo letto un articolo scritto da ricercatori che suggeriscono questa ipotesi senza però dimostrarla e perché australiani e americani dicono lo stesso”.
IL MESSAGGIO ALLA CINA
In conclusione, l’uso di classici espedienti retorici grazie ai quali l’indimostrato diventa verosimile, il verosimile diventa probabile, il probabile diventa vero e certo (il Coronavirus è stato creato in laboratorio dai Cinesi) è funzionale al passaggio successivo: chiedere alla Cina di farsi carico dei danni provocati dal Coronavirus ma, attenzione, per negligenza e non a seguito di un’azione deliberata (per “colpa” e non per “dolo” come direbbe un penalista). Il passaggio dell’articolo recita testualmente: I do think that this started as an accident. It raises the issue, if China ever were to admit responsibility, does it pay reparations? I think it will make every country in the world rethink how it treats its relationship with China and how the international community behaves towards the Chinese leadership.
Il messaggio, in termini di negoziazione, è chiaro: accettate di “pagare i danni” e in cambio sosterremo che non avete deliberatamente provocato la pandemia (e dunque non faremo scoppiare la Terza Guerra Mondiale) e potremmo anche riconsiderare l’ostracismo nei confronti delle aziende e dei prodotti ad alta tecnologica (Huawei, ma non solo).
RULES FOR COUNTERINFORMATION. GUARDARE OLTRE L’APPARENZA
Come detto in apertura, non ci sono elementi per affermare che questo articolo del Telegraph sia effettivamente parte di un’operazione di PsyOps, anche se proprio questa assenza di riscontri potrebbe farlo pensare. Il che evidenzia la difficoltà di interpretare gli eventi e di non riuscire a distinguere l’applicazione di una strategia deliberata da un’azione individuale e non inserita in un contesto più ampio. Questo è il rischio costante di chi si occupa di analisi perché la plus belle des ruses du diable est de vous persuader qu’il n’existe pas.
DISTINGUERE LA COMPRENSIONE DALLA PERCEZIONE
Un altro aspetto interessante da un punto di vista generale posto in rilievo da questo articolo, riguarda la differenza fra “percezione” e “comprensione” del significato nella costruzione della comunicazione.
I messaggi veicolati dal Telegraph “arrivano” immediatamente al lettore perché la loro percezione è immediata e arazionale, mentre l’analisi critica dell’articolo è mediata dalla percezione razionale, essendo quindi faticosa. Si potrebbe dire, dunque, che mentre il messaggio PsyOps è “assorbito” direttamente quello dell’analisi che lo destruttura è “filtrato”, con una inevitabile perdita di efficacia.
Di conseguenza, una reazione che volesse “esporre” manchevolezze, strumentalizzazioni o falsità e che le elencasse provocherebbe l’effetto contrario, rinforzando paradossalmente il messaggio originario (ed è altrettanto interessante notare che, invece, questo è proprio il paradigma della comunicazione politica ordinaria).
USARE LE TESSERE PER COSTRUIRE I MOSAICI
È importante, dunque, tenere distinta la fase di analisi pura – che deve fornire elementi quanto più oggettivi possibili e distinti dalle opinioni – dalla sua applicazione tattica sul campo. Questo richiede di organizzare i dati in funzione dell’obiettivo da raggiungere non necessariamente in termini di “verità” o “comprensibilità” quanto in termini di rinforzo del fine strategico. Ciò vuol dire, in altri termini, che non esiste uno e un solo modo di combinare le informazioni e che non esiste una e una sola forma che il messaggio o l’azione esterne possono assumere.