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Trump contro tutti. Da Esper a Mattis, così il Pentagono dice no. Il punto di Gramaglia

I capi del Pentagono contro il “comandante in capo”: l’attuale segretario alla difesa Mark Esper e il suo predecessore Jim Mattis prendono le distanze da Donald Trump e lo criticano, mentre la violenza delle proteste dopo l’uccisione a Minneapolis di un nero ad opera della polizia si stempera e nuovi sondaggi confermano che il candidato democratico Joe Biden è in vantaggio su Trump nelle intenzioni di voto a livello nazionale. Oggi, Biden sarà a Houston, ai funerali di George Floyd, la vittima di Minneapolis.

LE MOSSE DEL PENTAGONO

Sullo sfondo, resta virulenta l’epidemia da coronavirus: i dati della John Hopkins University indicano che ieri ci sono ancora stati quasi mille morti: il totale dei decessi supera i 107 mila (erano 107.175 alla mezzanotte sulla East Coast), quello dei contagi 1.851.000.

Eseguendo gli ordini di Trump, che vuole impiegare l’esercito, oltre che la Guardia Nazionale, contro i manifestanti, il Pentagono ha spostato 1600 uomini nell’area del Distretto di Columbia, a cavallo del Potomac, tra Maryland e Virginia, dove sorge Washington: le truppe sono pronte a fornire appoggio, se richieste dalle autorità locali, e sono ospitate in basi militari nell’area della capitale, ma non in città.

ESPER DICE NO

Esper fa però sapere di non essere favorevole a invocare l’Insurrection Act contro le proteste, che la Casa Bianca etichetta come “terrorismo interno”. Esper vuole evitare che le forze amate siano strumentalizzate a fini politici; e rileva che non è stata la Guardia Nazionale, lunedì sera, a sparare lacrimogeni e proiettili di gomma per sgomberare i manifestanti da un’area antistante la Casa Bianca, lasciando intendere che li hanno usati altre forze dell’ordine.

Con mossa inconsueta, Esper si smarca da Trump pure per la criticatissima ‘passeggiata’ fino alla chiesa di St.John, al di là di Lafayette Square: obiettivo, dare al presidente l’opportunità d’una foto sul sagrato con la Bibbia – la sceneggiata sarebbe stata pensata dalla “prima figlia” Ivanka e da suo marito Jared Kushner, che accompagnavano il presidente, insieme a Esper e al segretario alla Giustizia William Barr. “Sapevo che andavamo a St.John, non sapevo della foto e della Bibbia”, dice ora il capo del Pentagono.

L’AFFONDO DI MATTIS

Dopo Esper, esce allo scoperto il suo predecessore Mattis, che condanna l’uso dell’esercito contro i manifestanti, definendo “abuso di potere esecutivo” lo sgombero della folla davanti alla Casa Bianca per una “bizzarra photo-op“; e invita a “richiamare alle proprie responsabilità chi ha cariche e deride la nostra costituzione”. In una nota su The Atlantic, il generale, che lasciò l’Amministrazione nel dicembre 2018 per dissensi con Trump, sostiene che il presidente divide e non prova neppure ad unire gli americani.

Trump non risponde a Esper, ma la portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany afferma: “Per il momento. Esper è ancora segretario alla Difesa… Se il presidente perde fiducia in lui ve lo faremo sapere… Il presidente userà l’Insurrection Act, se necessario…”.

LA RISPOSTA DI TRUMP

Trump, invece, replica su Twitter a Mattis: “Probabilmente l’unica cosa che io e Barack Obama abbiamo in comune è che entrambi abbiamo avuto l’onore di licenziare Mattis, il generale più sovrastimato del mondo. Chiesi le sue dimissioni e mi sentii benissimo… Il suo punto di forza non era militare, ma piuttosto le pubbliche relazioni. Gli diedi una nuova vita, cose da fare, battaglie da vincere, ma raramente ‘portava a casa il risultato’… Felice che se ne sia andato”.

PASSEGGIATA NELLA STORIA

Sulla ‘passeggiata’ di lunedì, Trump cerca di accreditare una versione dei fatti alternativa alla verità – una delle sue “post-truth”: a Fox News dice che non sapeva dei manifestanti, che non sono stati impiegati i lacrimogeni e che il suo gesto con la Bibbia è stato apprezzato da molti leader religiosi; e dice che nel bunker della Casa Bianca è stato “pochissimo tempo, di giorno e per un’ispezione”. Politico osserva che quello di Trump è un quotidiano bunker elettorale, da dove fa campagna come Richard Nixon e George Wallace a fine anni Sessanta “ma in realtà è come Lyndon Johnson, un uomo che ha perso il controllo della macchina”.

TRUMP E I SONDAGGI (AMARI)

Nell’ultimo sondaggio Cbs News / YouGov, Biden è avanti a Trump di quattro punti: 47% contro 43% a livello nazionale, il democratico in testa anche in Stati in biblico come Wisconsin, Pennsylvania e Florida, mentre il repubblicano guida nella North Carolina. RealClearPolitics, che fa una media dei sondaggi, dà l’ex vice di Obama avanti di sei punti (48,6% a 42,6%).

Secondo un rilevamento Politico / Morning Consult, il 69% degli americani considera che gli Usa siano sulla strada sbagliata e solo il 31% pensa il contrario: è il livello più basso dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca e tiene già conto delle proteste innescate dall’uccisione di Floyd. Prima della pandemia, il 43% degli americani pensava che il Paese fosse sulla strada giusta, una settimana fa il 34%.

Ma il presidente continua a rivendicare meriti e twitta: “In tre anni e mezzo, ho fatto molto di più per la comunità afro-americana di quanto abbia fatto Biden in 43 anni”, accusando il rivale di avere danneggiato i neri, quando era senatore, con il Crime Bill, la legge del 1994 sulla lotta ai crimini violenti. “Invece, io ho fatto per gli afro-americani più di ogni altro presidente, ad eccezione del grande Abraham Lincoln”.

La buona notizia, per Trump, è che è in buona salute: 110 kg, 192 cm, pressione 79/121, 63 battiti al minuto, fa sapere la Casa Bianca, diffondendo una sintesi del check-up annuale, completato nei giorni scorsi, anche in seguito all’assunzione temporanea di idrossiclorochina contro il coronavirus – nel frattempo, le autorità mediche internazionali e nazionali hanno ufficialmente decretato l’inutilità del farmaco.

GUERRA ALLE STATUE

Com’era già avvenuto nell’estate 2017 con numerosi simboli confederati, dopo gli incidenti di Charlottesville, quest’ondata di proteste per i diritti civili sta facendo sparire dalle città simboli razzisti: a Filadelfia, la statua di bronzo dell’ex sindaco e “sceriffo” Franck Rizzo, presa di mira dai manifestanti e danneggiata, è stata rimossa – stava davanti al Municipio -. Capo della polizia e sindaco dal 1968 al 1980, l’italo-americano Rizzo era un uomo “Law&Order”, ma attuò discriminazioni contro la gente di colore. A Richmond, in Virginia, sta per essere rimossa la statua del generale Robert E. Lee, il comandante dei Confederati nella Guerra Civile.

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