Allargare il perimetro delle collaborazioni europee per far fronte a mercati sempre più competitivi, ma senza mettere a rischio l’alleanza con la Francia sul lato navale. È da leggere così, dalla prospettiva italiana, l’ipotesi tedesca per Fincantieri, emersa ieri dalle indiscrezioni di Reuters su presunte trattative con Thyssenkrupp. Almeno secondo Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).
COSA ACCADE IN GERMANIA
Le trattative in questione riguarderebbero la controllata TKMS, impegnata nella realizzazione di sottomarini e navi di superficie. Secondo l’agenzia di stampa, per i tedeschi ci sarebbero due ipotesi. In primis, la creazione di una joint venture (“da 3,4 miliardi di ricavi”) con le attività della Difesa di Fincantieri. In alternativa, una fusione di TKMS con gli altri due protagonisti della cantieristica navale tedesca: Luerssen e German Naval Yards (GNYK). La seconda ipotesi è però già stata superata, visto che nella serata di ieri è arrivato l’annuncio di una fusione proprio tra Luerssen e GNYK (con l’assenso del governo federale), che lascerebbe fuori la controllata militare di Thyssenkrupp. Una notizia che fa apparire le indiscrezioni di Reuters legate più che altro a questioni in terra teutonica.
L’IDEA IN ITALIA
Vista dal lato italiano, l’ipotesi di un rafforzamento della collaborazione con la Germania sul fronte navale rappresenta il prosieguo della strada intrapresa da tempo nel contesto europeo da Fincantieri. Nonostante ciò, l’idea di una joint venture con TKMS risulta a un primo sguardo “azzardata”, ci ha spiegato Nones. “Sicuramente – ha aggiunto l’esperto – al di là dell’auspicata e positiva convergenza italo-francese, il settore navale europeo richiederà ulteriore consolidamento”. Tuttavia, “bisogna vedere se i soggetti potenzialmente interessati, Spagna (con Navantia) e Germania), saranno disposti a tentare una strada di cooperazione internazionale che finirebbe per limitare la loro autonomia”.
LA COLLABORAZIONE CON LA FRANCIA
La sponda transalpina è d’altra parte ormai stabile, con Naviris, la joint venture con Naval Group, operativa da gennaio. Sebbene resti in stand-by il lato civile dell’intesa tra Roma e Parigi (in attesa della decisione dell’antitrust europeo sull’acquisto da parte di Fincantieri dei Chantiers de l’Atlantique, ex Stx), i rapporti sul lato militare sono ben avviati e il Gruppo guidato da Giuseppe Bono non pare intenzionato a lederli. “Siamo ancora nella fase di costruzione dell’alleanza con Naval Group – ha detto Nones commentando l’ipotesi tedesca – si sono decisi gli obiettivi e ora si stanno definendo meglio le caratteristiche della rotta; resta una fase delicata in cui potrebbero esserci interferenze esterne”.
L’IPOTESI TEDESCA
Difatti, ha aggiunto l’esperto, “un conto è cercare convergenza e integrazione con partner militari e industriali con i quali abbiamo nel tempo realizzato importanti programmi di cooperazione militari e industriale, e con i quali si è creato rapporto privilegiato di conoscenza approfondita e fiducia reciproca; una altro è un approccio topdown, con ipotesi di integrazione con realtà industriali con i quali si è fatto per lo più competizione”.
L’ESPERIENZA DEL PASSATO
In realtà, la collaborazione tra Thyssenkrupp e Fincantieri non è nuova. C’è già l’esperienza di cooperazione sul programma dei sottomarini Type 212A, avviato negli anni 90 con quattro unità dirette alla Marina militare italiane (U 212-A) realizzate dal Gruppo italiano su licenza tedesca. “Poco – ha notato Nones – per pensare a un accordo di ampio respiro con l’industria navale tedesca, che poggerebbe solo sulla volontà politica di farlo”. C’è comunque da notare che il settore dei sottomarini è escluso dall’accordo con Naval Group su Naviris, ragione per cui una sponda con la Germania sul tema apparirebbe di potenziale completamento.
COSA SERVE AL SETTORE EUROPEO
In ogni caso, ha rimarcato il vice presidente dello Iai, “bisogna prima di tutto andare avanti nel consolidamento della collaborazione con la Francia, allargandola alla parte dei sistemi e degli equipaggiamenti in modo che diventi un accordo strategico tra i due Paesi nell’intero settore navale”. L’obiettivo è “cercare di disporre di prodotti più efficaci rispetto alle esigenze delle nostre Marine militari e delle prospettive sul mercato internazionale”, potendo contare su eccellenze dimostrate dal Gruppo di Trieste con la recente vittoria nell’importante gara Ffg(X) della Marina degli Stati Uniti.
UN SETTORE IN MOVIMENTO
Poi, bisogna “puntare al programma European patrol corvette (Epc), così che ci sia la benzina necessaria a far marciare l’industria”. È uno dei più recenti progetti della cooperazione strutturata permanente (Pesco), a guida italiana con la partecipazione della Francia (non a caso è tra i primi obiettivi dichiarati di Naviris, insieme all’ammodernamento della classe Orizzonte. L’ultima novità sul tema è l’adesione (dopo la Grecia) anche della Spagna, interessata con la sua Navantia a testimonianza del fermento che attraverso l’intero settore navale europeo.
LA SFIDA DELL’EXPORT
Inoltre, ha spiegato ancora Nones, “occorre continuare a insistere affinché ci sia pieno accesso delle unità di produzione italiana al mercato internazionale”. Il riferimento è alle due Fremm per l’Egitto: “Bisogna sciogliere subito il nodo della commessa; gli egiziani non stanno ad aspettarci”. Difatti, ha concluso l’esperto, “l’incapacità di scindere il piano morale ed etico relativo alla vicenda Regeni, e all’autoritarismo che caratterizza molti Paesi, con il piano delle collaborazioni strategiche per stabilizzare l’area mediterranea, rischia di farci perdere una commessa importante”.