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Così riparte (forse) la Difesa europea. Il ruolo di Airbus e il monito di Crosetto

Tra le partite aperte per il futuro dell’Unione europea c’è la Difesa comune. Con l’annunciata crisi da Covid-19, il rischio denunciato dagli esperti è una revisione al ribasso dei fondi previsti da Bruxelles. Per l’Italia, a ciò si aggiunge il timore di perdere terreno rispetto alle ambizioni di Germania e Francia, che paiono ben determinate a presidiare il settore.

IL VERTICE DELL’UE

Il tema è stato affrontato oggi nel corso della video conferenza dei ministri della Difesa dell’Ue, presieduto dall’Alto rappresentante Josep Borrell. Per Lorenzo Guerini e colleghi a dominare l’agenda è stato ancora una volta il contrasto alla pandemia. In tutti i Paesi coinvolti, le Forze armate sono in prima linea e già nel consiglio di inizio aprile era arrivato l’input a un maggior coordinamento, confluito nella creazione di una task force del Servizio per l’azione estera (Seae) per facilitare lo scambio di informazioni. Oggi, con la partecipazione del commissario al Mercato interno, il francese Thierry Breton (da cui dipende la nuova direzione generale per Spazio e Difesa), si è parlato anche delle prospettive industriali per la fase post-pandemica. Non ci ha girato intorno Borrell: “Dobbiamo aumentare le risorse destinate alla nostra difesa, a livello nazionale e a livello europeo”.

LE PAROLE DI GUERINI

“La crisi generata dal Covid 19 richiede un’Europa coesa, ancora più forte e resiliente e capace di trovare sinergie con tutte le organizzazioni di riferimento, in particolare con la Nato, per garantire risposte comuni ed efficaci alla crisi”, ha detto il ministro Guerini. “L’Unione Europea dovrà giocare un ruolo più che mai primario, secondo i propri valori, tra cui quello della solidarietà ha valenza fondamentale, tanti più nei confronti dei Paesi che ospitano le nostre missioni, poiché l’attuale scenario di sicurezza internazionale, strettamente connesso con l’impatto economico e sociale della crisi, è a forte rischio di peggioramento”.

I FINANZIAMENTI DELL’EDF

A livello industriale (un settore “da sostenere”, secondo Guerini) l’attenzione è soprattutto sul Fondo europeo per la Difesa (Edf). Nella sua proposta iniziale, la Commissione aveva previsto 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, pressoché dimezzati dai primi negoziati tra Stati membri sul bilancio pluriennale dell’Unione, ora da rivedere alla luce del Covid-19, con la speranza di riportare il fondo ai livelli auspicati da esperti e addetti ai lavori. Si tratterà comunque di co-finanziamenti, formula che richiede ai singoli Stati di investire nei progetti comuni per poter beneficiare dei ritorni. Poi, c’è da definire il modo in cui i fondi verranno gestiti da Bruxelles, le regole del gioco. È in altre parole una corsa a chi si posizionerà meglio, tra posizione di vertice nelle sedi che contano e potere negoziale ai tavoli più rilevanti.

L’AVVERTIMENTO DI CROSETTO

A tal proposito, è suonato oggi un campanello d’allarme in Commissione Difesa al Senato, presieduta da Laura Garavini (IV). Nell’ambito dell’esame sull’affare “partecipazione italiana ai progetti della difesa comune europea”, sono stati auditi i vertici dell’Aiad, Guido Crosetto e Carlo Festucci, e il vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) Michele Nones. “In questo momento di crisi – ha spiegato Crosetto – ognuno cercherà in sede europea di portare più acqua al proprio mulino nazionale”.

Per l’Italia, “l’impressione è che non stiamo seguendo bene cosa sta succedendo a Bruxelles”. Perciò, Crosetto suggerisce di “fare più lobby italiana” e di avere “chiara indicazione delle aree su cui vogliamo mantenere un dominio industriale nazionale”. Resta poi il tema del budget. “L’attenzione importante del ministero della Difesa sul tema non è seguita da adeguate risorse finanziarie, le quali dipendono dalle scelte di governo”.

IL CONTRATTO AD AIRBUS

Parole a cui è seguita nelle stesse ore la notizia da Parigi dell’assegnazione al colosso franco-tedesco Airbus del nuovo contratto quadro per le comunicazioni via satellite per le missioni militari e civili dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Il contratto, del valore stimato in decine di milioni di euro, è stato assegnato dall’Agenzia europea per la Difesa (Eda), la stessa che avrà un ruolo importante nei futuri meccanismi della Difesa comune, tra la definizione dei bandi e dei requisiti operativi per i progetti condivisi. In ogni caso, si tratta di un contratto dall’elevato valore strategico, relativo a un’infrastruttura essenziale per le future missioni comuni.

IL PUNTO DI NONES

Tra l’altro, il rischio di abbassare la guardia (e i finanziamenti nazionali) aumenta con eventuali misure di spending review nella fase post-pandemica. Come notato da Nones, “le spese più direttamente aggredibili nei bilanci delle difese sono quelle relative a investimenti, prontezza operativa (supporto logistico, manutenzione, addestramento) e missioni internazionali”.

Ridurle significherebbe perdere terreno anche in sede europea. D’altra parte, investire in Difesa pare un’esigenza fondata. Serve “per aumentare la sicurezza in un quadro geostrategico fortemente instabile”, ha notato Nones, ma anche “come strumento di rilancio per l’economia industriale e come contributo alla crescita tecnologica dell’intero sistema-Paese”.

L’IPOTESI TRA ROMA E BERLINO

Per questo occorre che tutta l’Ue non riduca le ambizioni sul fronte della Difesa comune, un tema su cui l’Italia deve cercare sponde utili. Ieri, Guerini ha avuto un colloquio telefonico con l’omologa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer, concordando sulla necessità che l’Edf sia “adeguatamente alimentato”. Seppur alle prese con le polemiche interne innescate dai socialdemocratici dell’Spd sulla partecipazione al meccanismo nucleare della Nato, il governo tedesco è alla ricerca di un posizionamento maggiore sui temi della Difesa internazionale. Lo ha chiarito la ministra Akk sul Financial Times due giorni fa, rivendicando il ruolo della Germania nei contesti euro-atlantici. Considerando gli interessi italiani e l’ampio perimetro d’azione dell’industria nazionale, potrebbero emergere linee di convergenza tra Roma e Berlino da far valere a Bruxelles.



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