134.687 casi al 3 maggio, con il record dell’incremento in una sola giornata (+10633 nuovi ammalati, di questi 5948 solo a Mosca): ecco le cifre della pandemia da coronavirus in Russia. L’evoluzione della pandemia negli ultimi due mesi si è incrociata al crollo del prezzo del petrolio, risorsa fondamentale per il bilancio di Mosca, e questi due fattori creano scenari imprevedibili ma di certo non allettanti per il futuro prossimo del Paese.
Il rischio di un crollo economico e sociale della complessa struttura del potere russo di fronte all’acuirsi delle emergenze non è così peregrino come poteva esserlo soltanto due mesi fa, ma non è nemmeno scontato – di certo è legato anche a cosa accadrà nel resto del mondo, e specialmente nell’Unione europea e in Cina, i due grandi vicini della Russia.
Le misure prese in Russia per fronteggiare il Covid-19 non sempre rappresentano una strategia compiuta nel combattere la pandemia, e spesso differiscono di regione in regione. Anche lo stesso concetto di “autoisolamento” (samoizolyatsiya) non è uguale alle misure di quarantena o ai vari lockdown adottati in Europa e nel mondo.
Le misure di autoisolamento, adottate nella maggioranza delle regioni e delle repubbliche della Federazione Russa, non prevedono (a differenza della quarantena) l’impossibilità di uscire di casa, ma ne limitano i casi: a Mosca, ad esempio, si può andare a fare la spesa (i supermercati sono aperti e non hanno ingressi contingentati), si può camminare per il proprio quartiere, ma per usare il trasporto pubblico, recarsi in altre parti della città, andare in ospedale serve una speciale autorizzazione da compilare sul sito del comune, e che viene rilasciata sotto forma di codice Qr. Sono state inasprite le multe per la violazione delle misure di autoisolamento, ma non vi sono conseguenze penali.
Perché non si è adottata la quarantena, nonostante una crescita impetuosa del numero dei contagi? La risposta è da ricercare nella tardiva presa di coscienza della “fase 2” della pandemia, perché inizialmente Mosca ha adottato misure perentorie – come la chiusura del confine con la Cina e il divieto di ingresso per i turisti cinesi (successivamente esteso a studenti e lavoratori) – che avrebbero dovuto nelle intenzioni limitare al minimo i rischi di contagio.
In realtà probabilmente il coronavirus era già in giro da gennaio, come rilevato dagli epidemiologi attraverso lo studio delle statistiche dei casi di polmonite – secondo i dati di Rosstat del 13 marzo, solo a gennaio 2020 vi è stato un aumento di questi casi del 37% rispetto a un anno prima, mentre Rospotrebnadzor (l’agenzia per i diritti del consumatore e la difesa della salute) ha rilevato ben 7312 ammalati di polmonite acuta a febbraio, +54% in confronto al 2019.
I problemi nel diagnosticare la pandemia son stati essenzialmente gli stessi affrontati in altri Paesi europei, come la Germania e l’Italia, ma vi è stata, da parte dei media, la ricerca di facile sensazionalismo sui contagi portati dall’esterno. Infatti, quando a marzo si son presentati i primi casi “ufficiali” di coronavirus, si è teso ad attribuirli alla situazione italiana (i primi pazienti erano stati a Milano a febbraio).
Chi ha da subito reagito con misure stringenti è stato Sergei Sobianin, sindaco di Mosca, che con un’ordinanza il 5 marzo ha obbligato i viaggiatori di ritorno dall’Italia, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Cina e dalla Corea del Sud alla quarantena, e successivamente ha obbligato i moscoviti over 65 a restare in casa, adottando due provvedimenti: il pagamento di 4000 rubli (pari a 50 euro) in più al mese per la durata dell’emergenza, e la disattivazione degli abbonamenti del trasporto pubblico.
Ma le misure di Sobianin non hanno sempre trovato seguito nelle altre regioni, e da parte del governo guidato da Mikhail Mishustin (ammalatosi di coronavirus pochi giorni fa) questo nuovo protagonismo del primo cittadino moscovita è stato visto come un ulteriore tentativo di guadagnare posizioni nella complicata gara alla successione di Putin.
Il presidente è apparso molto preoccupato, soprattutto dopo la visita all’ospedale di Kommunarka, struttura principale nella lotta al coronavirus. Nel discorso del 25 marzo Putin ha elencato una serie di provvedimenti che avrebbero dovuto alleviare la situazione economica dei russi, ma in realtà di fronte alla scala della pandemia sembrerebbero non del tutto sufficienti.
La chiusura di caffè e ristoranti per i clienti e il loro passaggio solo ad attività di consegna a Mosca, per fare un esempio, ha già causato una grave crisi nel settore, e secondo alcune ricerche la metà dei ristoranti potrebbe non riaprire dopo la fine dell’autoisolamento, prevista secondo alcuni scenari per fine maggio (ad ora le misure sono state estese all’11 maggio, ma l’anno scolastico terminerà per le prime otto classi il 15, e le sessioni d’esami e di laurea sono state spostate in regime online).
La mancata proclamazione dello stato d’emergenza di fatto impedisce l’utilizzo del Fondo nazionale di riserva, che potrebbe permettere di alleviare considerevolmente la prossima tempesta sociale ed economica. Anche l’appello di un gruppo di economisti, capeggiati dal professor Konstantin Sonin della Higher School of Economics di Mosca, per l’adozione di un vero e proprio lockdown con una forte iniezione di liquidità nella società russa e forme di sostegno al reddito e alle imprese, è caduto nel vuoto, forse perché negli uffici del governo russo vi è ancora un certo legame con forme ormai datate di neoliberismo classico.
Il Cremlino si trova ad affrontare una sfida molto particolare, perché la pandemia agisce all’interno del paese ma contemporaneamente potrebbe trasformare in modo considerevole gli scenari internazionali e gli equilibri geopolitici. Probabilmente è l’incertezza a far muovere Mosca verso una navigazione a vista che non si sa bene a cosa possa portare.
L’unica certezza è che il coronavirus avrà un effetto durevole ed imprevisto per la Russia, e già questo elemento si avverte nel dibattito, da dove al momento sono scomparse le riforme costituzionali su cui tanto ha puntato il Cremlino, eclissate dalla stringente situazione epidemiologica e sociale.