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….Per non cadere nella pandemia della penuria

Se ne sconsiglia la lettura per quelli che, dal sociologismo da bar, sono ancor convinti esser l’esercizio di consumazione “prodigo e men che mai satollo”. Vizio insomma, dimentichi come sia questa la virtù che genera la ricchezza!

Un virus e viene giù tutto. Si, tutto, pure l’economia e in tutto il mondo!
Già oggi, nel mondo abbiente, oltre quattro miliardi di persone ne sono restate invischiate; quando sarà finita questa pandemia, toccherà trovarci a fare i conti con quella della penuria a cui già sembrava costretto il mondo dalla “stagnazione secolare”.
Pandemia della penuria che costringerà a rifare i conti con i modelli economici già utilizzati, sottoponendoli a stress test.
Già proprio di quell’economia che, ben prima del virus, risultava infettata dagli squilibri.
Oggi con il virus, al mercato, produzione e consumo non possono incontrarsi; ancor meno darsi la mano per la ratifica del prezzo; il che, seppur in modalità tecnica, può generare addirittura incubi.* Il termometro statistico invece, a marzo, misura il tonfo della fiducia di consumatori e imprese italiane sotto l’impatto dell’epidemia di Covid-19. Secondo dati Istat l’indice composito del clima di fiducia delle imprese precipita a quota 81,7 da 97,8 del mese precedente, toccando il minimo dal giugno 2013. La fiducia dei consumatori scende sensibilmente fermandosi a 101,0 da 110,9 del mese prima, minimo dal gennaio 2015.
Quand’è cosi, la febbre sale:
Il presidente della Federal Reserve Bank di St. Louis, James Bullard, ha dichiarato in un’intervista a Bloomberg News che il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti potrebbe raggiungere il 30% nei prossimi mesi, a causa delle restrizioni che verranno poste alle attività per frenare l’epidemia.
Il think tank tedesco Ifo dice che, a causa del coronavirus, la Germania potrebbe subire una contrazione del PIL fino a 20 punti percentuali, la perdita di milioni di posti di lavoro e un costo di oltre 700 miliardi di euro.
In Cina, nel primo trimestre dell’anno, i consumi sono diminuiti del 24%.
L’Ocse ci mette il carico da undici: “Ogni mese di contenimento della pandemia ” comporterà una perdita annuale di due punti di Pil”
C’è pure chi si rifiuta di voler misurare la febbre: “A causa del carattere eccezionale dell’attuale fase economica e degli ampi margini di incertezza sulla sua evoluzione, anche nel breve termine, viene sospesa la diffusione dell’ Euro Zone Economic Outlook.”
Quando, insomma, un antipiretico non sembra bastare, squilli di trombe e rombi di cannone lacerano l’aria: entra in campo l’artiglieria pesante.
Il governo della cancelliera Angela Merkel ha concordato un pacchetto del valore di oltre 750 miliardi di euro per mitigare l’impatto diretto della pandemia e verrà quindi contratto nuovo debito per la prima volta dal 2013. Nel dettaglio, il piano prevede 122,8 miliardi di euro in aiuti alle imprese e al servizio sanitario.
Il Senato Usa approva e mette in campo 2.000 mld di $ a favore di lavoratori e industrie colpite dalla pandemia.
La poderosa quanto anchilosata Eu intende, con il Mes, mettere 250 miliardi di euro a sostegno all’economia per il 2020 in favore dei vari Paesi membri Ue, a cui vanno aggiunti altri 74 miliardi dal budget Ue.
I paesi del G20 riunito dicono: “Siamo determinati a non lesinare alcuno sforzo individuale e collettivo per proteggere i posti di lavoro delle persone, ristabilire la crescita, mantenere la stabilità finanziaria, limitare l’impatto della pandemia sul commercio e coordinare le azioni in materia sanitaria e finanziaria. Siamo pronti a reagire tempestivamente e intraprendere qualsiasi ulteriore azione che possa essere richiesta.”
Per farlo, sembra si stiano iniettando oltre 5.000 miliardi di dollari nell’economia globale.
Alla fine anche il Giappone si è arreso all’evidenza e il premier Shinzo Abe ha dichiarato lo stato di emergenza per il Coronavirus; il governo ha varato un pacchetto di stimolo del valore di 990 mld di dollari, il 20% del Pil, per attutire l’impatto dell’epidemia.
La Banca mondiale scende in campo per far fronte all’emergenza coronavirus. Lo farà stanziando 160 miliardi di dollari nel corso dei prossimi 15 mesi.
Le banche centrali hanno riacceso le stampanti monetarie per fornire liquidità a chicchessia. Tutte e tutto per surrogare redditi insufficienti a fare la spesa aggregata.
Mario Draghi, ex di lusso Bce, dice la sua al Financial Times perché tutti la leggano: “Agire subito senza preoccuparsi dell’aumento del debito pubblico… bisogna immettere subito liquidità nel sistema e le banche devono fare la loro parte, prestando danaro a costo zero alle imprese, per aiutarle a salvare i posti di lavoro. Proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità.”
Debito però che, quando “troppo in alto sal cade sovente….”, trova detrattori e sostenitori.
I primi vorranno ridurlo a colpi di patrimoniale, senza se e senza ma; i secondi, più realisti del re, attrezzeranno moratorie… magari una Banca Centrale del Mondo, definita all’uopo, che monetizzi il debito acquistando sul mercato “titoli di debito perpetuo, zero coupon.” emessi… da quelli che hanno l’acqua alla gola.
Verrebbe da dire sia come sia se non fosse che… il domani sarà come faremo che sia!
Dunque, faremo: Draghi, cambiando il registro della politica monetaria del controllo di prezzi, cambia pure l’indirizzo; le azioni, di “sussidio alla sopravvivenza”, vanno recapitate al capitale e al lavoro!
Già, per quanto la congiuntura lo esiga, il vecchio vizio non si scorda mai; al consumo, inteso solo e sempre funzione accessoria del produrre, vanno solo gli spiccioli.
Tant’è, il credito del proferente e il tono del proferito, non ammettono repliche.
Vabbè, dai: soccorrere ma… tra quest’oggi e il come è stato lo ieri, qual domani si speme e tocca divinare?
Approposito del divinare, l’economia post Covid-19 riuscirà a trovare sostegno adeguato nelle politiche monetarie e fiscali, all’uopo adottate in tutto il mondo? Si riuscirà, insomma, così facendo a sanare quel gap dell’out put che già sfiancava quella di prima?
Diamo un’occhiata. La crescita dovrà continuare a farsi come prima con la spesa aggregata ma… con un potere d’acquisto rifocillato proprio da queste politiche. Una moneta insomma, messa in tasca, che sia adeguata a ruolo di ciascuno degli aggregati.
Una moneta che dovrebbe, ad esempio, sanare lo squilibrio fra quella già in tasca a chi ha il capitale e quella che hanno quelli che lavorano; quella stessa che ha generato l’altrettanto poderoso squilibrio nella propensione al consumo, figlia degenere proprio di quella disparità nel potere d’acquisto.
Una chicca ne tira un’altra: l’aggregato delle Imprese, a cui toccherà fare la spesa per investimenti e che vedrà, con la pandemia, aumentare ancor più la capacità produttiva inutilizzata, verrà convinto dall’efficacia di queste politiche a farla?
E… un’altra ancora: tra il debito passato, quello futuro e la riduzione degli introiti conseguenti alle politiche fiscali in itinere, potrà l’aggregato Pantalone fare la spesa pubblica?
Egregi divinatori, cotante domande attendono adeguate risposte.

Orbene, per non soccombere ai cattivi presagi, occorre invece trar lezione da come si stesse appunto in quel prima, prossimo alla recessione, poi nel recedere d’oggi; per non dover ristagnare domani.
Osservare il reale, attraverso l’evidenza empirica, consente di eliminare le viscosità mostrate dai modelli previsivi che sono stati fin qui utilizzati.
Giust’appunto, quell’evidenza di come si stesse prima della pandemia: sovraccapacità dell’impresa, sottocapacità della spesa, affrancamento dal bisogno; redditi insufficienti, sorretti dal debito oltre ogni ragionevole limite.
Il prezzo fatto dal mercato per tal impiego dei fattori produttivi, risultava alterato dalle azioni reflattive messe in campo per stroncare la deflazione. Il gap dell’out put lo grida; strepitano invece i prezzi inflazionati fatti da altre asset class: azioni, obbligazioni, valori immobiliari.
Questo bug del “prezzo in-giusto”, che ci aveva fatto entrare nella crisi del 2007 e che ancora attanaglia, ci sbatte oggi in nel mondo pandemizzato.
Una sequenza non occasionale mostra una successione che atterrisce lo spirito, mortifica la produttività del sistema:
Dall’affrancamento dal bisogno i Consumatori ricavano libertà di azione; ottenuta con l’indebitarsi diventano bolsi. Il mancato risparmio poi ha ridotto l’efficacia dell’esercizio di consumazione nel controllo dei prezzi, limitando pure quegli investimenti industriali e commerciali necessari per migliorare la qualità del prodotto che avrebbero ridotto prima i costi unitari poi i prezzi.
Il credito, elargito come se piovesse, ha rifocillato tutto e tutti salvando dal giudizio del mercato aziende zombie. Toh, proprio quelle che più concorrono a limitare l’impiego produttivo di quelle giovani generazioni che pur dispongono del capitale, umano e sociale, per migliorare l’efficienza del produrre e nel consumare; tenuti fuori dall’intero processo produttivo, aumenta ancor più il gap dell’out put del sistema.
In quest’oggi poi, contratto nella pandemia, lo sconquasso del lock down aggraverà il già grave:
Ferma la produzione, si potrà ridurre l’eccesso in magazzino; le imprese però mostreranno maggiore capacità produttiva inutilizzata. Se non si potrà far la spesa, si ridurrà l’affrancamento dal bisogno; senza reddito non si potranno fare neppure quegli acquisti di bisogno.
Si ridurranno ancor più i risparmi; il tasso di occupazione, già al 65%, precipiterà a far mancare il potere d’acquisto ad altri, oltre ai troppi che già non l’hanno, per poter fare la spesa.
Il debito, ad oggi inestimabile, che verrà impiegato per salvare la baracca verrà ad aggiungersi a quei 255.000 mld di $ che già infestano e che reflazionerà ancor più il mondo. L’Institute of International Finance stima, con una previsione basata sul semplice presupposto di un raddoppio dei deficit pubblici e una contrazione del 3% dell’economia globale, come l’incidenza del debito globale sul Pil balzerà in un solo anno dal 322% al 342%.
Debito d’oggi che aggraverà ancor più il domani; toh, proprio di quelle giovani generazioni, già gravate dall’onere di quello contratto per gli studi, finalizzati ad attrezzare il loro capitale umano; avranno ancor meno occasioni per lavorare e consumare. Botte, corna e chitarra rotta, insomma; non solo la loro, quella di tutti i suonatori!
Alla fine della fiera, un mercato, ancor più opaco e inefficiente nel fare il prezzo, saprà farlo?
Dovrà farlo, quando potrà tornare ad ospitare chi domanda e chi offre; proprio per contrattare e fare il prezzo. Per poterlo fare dovrà esserci chi abbia prodotto merci e chi ne avrà bisogno, che dovrà avere i soldi in tasca per poterle acquistare. Si, esattamente come prima anzi, prima del prima poiché lì almeno si riusciva a trovare quell’equilibrio che ha consentito crescite ancora sane.
Dopo il lockdown sussisteranno ancora le condizioni di base per poter dar corso a tal appetita crescita.
Gli impresari avranno ancora, seppur ammaccato, il capitale come pure le strutture d’impresa; disporranno ancora delle competenze e di quegli incoercibili animal spirits per fare la loro parte. I consumatori, per far la loro, metteranno il neo rinato bisogno; avranno poi la riserva delle emozioni, le passioni finanche le esperienze da poter soddisfare. Per strafare potranno fare pure altro; consumando l’acquistato daranno la stura a quelle stesse imprese nel poter riprodurre, dando continuità al ciclo; con l’Iva pagata finanzieranno parte della spesa pubblica; se riusciranno ad avere in tasca il resto, investito, finanzierà gli investimenti delle imprese. Con cotanto fare genereranno i due terzi di quella domanda aggregata che genererà la ricchezza; quel terzo che faranno altri, lo sovvenzioneranno.
Per far che tutto questo “valore” possa manifestarsi compiutamente, impiegano risorse scarse: il Tempo, l’Attenzione, l’Ottimismo, il Denaro. Un concorso individuale, insomma, alla produttività generale che non ha eguali!
Concorso che verrà depotenziato dalla diversa propensione al consumo dei singoli; frutto del diverso remunero, messo in tasca, dai “fattori” che operano nella produzione.
Bene, per cotanta inefficienza un quesito, prodromo al dopo, rimbomba: quale economia di mercato potrà permettersi ancora il lusso, in sede di trasferimento della ricchezza generata dalla spesa, di remunerare i fattori che hanno concorso a crearla, escludendo chi l’abbia de facto generata?
Di dare risposta compiuta al rimbombo dovrà farsi carico la comunità internazionale; quella che, abbeverandosi con precetti scaduti, ha fin qui tirato a campare.
Dovrà, appunto, darsi da fare per far sì che quell’economia di mercato, che in altri tempi ha mostrato di esser in grado di generare il massimo della ricchezza e nelle forme acconce distribuirla, torni a fare al meglio quel che sa fare.
Se l’indifferibile “fattore consumo” per la continuità del ciclo attribuisce valore ad una domanda scarsa, occorre poterne stimarne il prezzo, chi poi dovrà intascarlo, come e chi dovrà pagarlo.
Già se prima, nell’Economia della Produzione, si lavorava per guadagnare, nell’Economia dei Consumi deve trovare ristoro l‘esercizio di consumazione per poter avere a sufficienza da spendere; un reddito di scopo, insomma, che integri l’insufficienza di quello incassato con il produrre!
Beh, se tanto può dar tanto, la Politica può/deve attrezzare l’ambiente normativo per un’economia capace di resistere oltre alle congiunture che la scrollano, anche a quei cigni neri dei giorni d’oggi.
La cornice in UE c’è.
L’art 3, par. 3, del Trattato sull’Unione Europea, ha stabilito la costruzione del mercato interno basata su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e «su una economia sociale di mercato fortemente competitiva».
Principi generali, insomma, che possono servire da sponda per ancorare la norma su “l’economia resistente”. Norma già da tempo necessaria per fornire sprone all’Impresa nel dar corso ad una riconversione delle strutture che la organizzano, per aderire compiutamente al “nuovo” dell’Economia dei Consumi e che nel mondo, dopo l’oggi pandemico, si renderà non più procrastinabile.
Giust’appunto per non procrastinare si rende spendibile, dentro i Parlamenti nazionali, la proposta di Legge per disporre di un mercato efficiente che sappia fare al meglio il prezzo; che disponga di allocare le risorse economiche generate dalla crescita per tenere adeguato quel potere d’acquisto che consenta l’esercizio di ruolo dei diversi operatori della spesa aggregata.
L’adozione della norma renderà, de facto, appetita la costituzione di quell’Azienda “Libero Mercato Spa” che capitalizzi onori ed oneri e, in punta di diritto societario, “offra a tutte le persone la possibilità di contribuire all’attività economica e di condividerne i benefici” per far sì che, quanto auspicato dall’Fmi, possa venir fatto.
Un’ azienda pro-crescita che agisca per tenere in equilibrio produzione e consumo, impiegando al meglio le risorse produttive degli addetti e l’adeguata allocazione delle risorse di reddito per sostenere la crescita e generare ricchezza.
Agenti economici vi agiscono con ruoli integrati per la produzione dell’offerta, la generazione della domanda, del commercioe dell’acquisto, fornendo distinto contributo a quella spesa aggregata che fa la crescita.
Il remunero degli operatori, che compensa quel diverso contributo, andrà speso nel “circuito aziendale“ per rendere fluido e continuo il ciclo produttivo.

Giust’appunto un marchingegno societario che disponga l’adeguata capitalizzazione degli azionisti mediante una diversa allocazione della ricchezza** colà generata.
La Politica, per caldeggiarne l’istituzione, dovrà farsi carico di attrezzare “norme di vantaggio fiscale” che ne rendano conveniente l’adozione. Norme affinchè il Mercato, quando non impallato dai meccanismi reflativi, sia in grado di poter fare il miglior prezzo tra le parti in causa remunerando la produttività di ciascun agente per migliorare la produttività del tutto.
Ci sono Imprese che già lo fanno; hanno attrezzato business pro-crescita che consentono di far profitto quando, con l’acquisto delle loro merci, i Consumatori rifocillano il potere d’acquisto.

Funziona: aumentano la produttività d’esercizio “associando” quella implicita all’esercizio di consumazione; la fidelizzano, attraverso il remunero delle risorse scarse impiegate nel fare la spesa incassandone infine un vantaggio competitivo.

Per far sì che l’appetito per le altre Aziende venga mangiando, s’ha da tornare pure a metter mano agli attrezzi del mestiere della Politica: la leva fiscale per re-distribuire vantaggio agli aderenti la Spa, svantaggio ai renitenti.
Per lenire il colpo a quei renitenti toccherà sussurrar come, tra l’affrancamento dal bisogno e/o il potere d’acquisto insufficiente per dare ristoro ai neo bisogni, la domanda resti l’unica merce scarsa sul mercato. Come insomma, pur dopo il mondo pandemizzato, continuerà ad esservi più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre.
Bene, nell’universo produttivo dell’Economia dei Consumi, il “paradigma del vantaggio comparato”, dovrà fornire la regola per poter dare a Cesare quel ch’è di Cesare: La crescita si faccia con la spesa, non con la produzione ne’ con il lavoro. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e ne paga il costo remunerando tutti; pure quelli del Capitale.
Sissignori, il tempo stringe. Questo paradigma che fin ieri doveva riparare il danno generato da una stagnazione congenita, oggi può farsi antidoto economico/produttivo affinchè la pandemia Covid19 non degeneri in quella della penuria.

* 21 marzo. Il Future, scadenza maggio, sul petrolio misura il disastro causato dal forte divario di fondo tra offerta, in eccesso, e domanda prosciugata a causa del blocco delle attività da coronavirus. Gli stock di greggio poi sono pieni, perfino le petroliere spesso non sono in grado di svuotare il cari-co. I prezzi sono andati a picco e ieri il Nymex, alla Borsa merci di New York, ha dovuto accettare che i prezzi finissero, fino a meno €33.99.
** Il modo, insomma, per poter eliminare quella fattispecie di “reato economico”che si scorge quando non viene limitata la differenza, nella propensione al consumo, tra chi dispone meno di quel che deve spendere e chi ha più di quel che spende, rendendo inefficiente il contributo dei diversi operatori della spesa alla generazione della ricchezza.

Mauro Artibani, l’economaio
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