L’ipotesi più probabile che i governi dovranno affrontare dopo la fine dell’emergenza sarà il disagio sociale. Tutto questo richiede iniziative politiche di alto spessore, che mirino ad affrontare i nodi strutturali e non a un consenso politico a breve termine. La risposta economica sarà in ogni caso insufficiente, sia perché l’Italia nonostante la sospensione del patto di stabilità comunitario ha già un bilancio molto pesante e sia perché le scelte governative stanno seguendo criteri di sostegno al reddito. La crisi economica apre larghi spazi, in Italia come nel resto del mondo, alle ulteriori infiltrazioni criminali nell’economia legale e quindi nel tessuto sociale, politico e istituzionale.
Un discorso a parte riguardano i provvedimenti legislativi, che mentre da un lato sono necessari, in linea con quanto stanno adottando dopo di noi tutte le nazioni, dall’altro hanno posto questioni sui tempi e sulla legittimità. Per quanto riguarda i primi ci sono denunce penali delle quali si dovrà poi verificarne la fondatezza, dall’altro sono state evidenziate osservazioni sulla costituzionalità e sull’opportunità di taluni provvedimenti, che hanno prodotto un’incertezza normativa con conseguente confusione nei cittadini e sfiducia negli investitori. Per quanto riguarda le proposte di policy, un’ipotesi per contenere l’inevitabile disagio sociale è quella di assumere decisioni impopolari. Ci sarà bisogno di scelte dolorose che rispondano a criteri minimi di giustizia sociale.
Tra queste, si può discutere tempestivamente su questioni controverse, ma comunque da affrontare, come: tassare le grandi rendite; porre un tetto alle pensioni d’oro; ridurre gli emolumenti e i benefici ai parlamentari e ai consiglieri regionali (come si è già fatto in Giappone e in Nuova Zelanda, in Bulgaria e in Grecia); diminuire i compensi dei direttori generali della sanità e delle figure apicali dei ministeri e delle regioni; limitare i compensi dei componenti e dei dipendenti delle alte istituzioni (Presidenza della Repubblica, Parlamento, Corte Costituzionale ed altro).
Si tratta di stipendi molto elevati ai quali non corrisponde pari utilità sociale, né ragionevolezza, né paragoni con quanto accade nel resto del mondo e che per la loro riduzione basterebbe, tecnicamente, solo un decreto-legge. Sebbene quelle appena elencate rappresentino voci di spesa relativamente modeste rispetto al bilancio dello Stato, esse possono incidere positivamente sulla selezione della classe dirigente e sul contenimento del disagio sociale, riavvicinando le élite ai cittadini. Non è un caso che per dirigere le task force istituite per fronteggiare l’emergenza del coronavirus, siano stati individuati non dirigenti ministeriali ma manager esterni. Inoltre, andrebbero poste le basi adesso, in condizioni di emergenza, per adottare una politica di redistribuzione del reddito, anche a titolo dimostrativo, formulando il bilancio dello Stato con un diverso orientamento della spesa pubblica. Inoltre, andrebbe rivista con caratteri di urgenza una parte della legge Bassanini, in quanto ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti, avviando così un reale snellimento burocratico. Infine, si dovrebbe programmare un serio intervento sulle carceri, disponendo la realizzazione di nuovi edifici. L’aspetto centrale sarà questo: dal punto di equilibrio che si raggiungerà nel nostro Paese tra le condizioni di indigenza e la riduzione del benessere dipenderà l’effettiva tenuta sociale.
In questo quadro, prendendo spunto dalla sanità occorre intervenire con immediatezza su una diversa riarticolazione dei ruoli tra Stato e Regioni, non potendo più prescindere da quanto constatato, spesso in modo drammatico, durante questa emergenza. È anche con provvedimenti sulla sanità che si contrastano davvero le mafie, le quali progrediscono non solo per la loro grande disponibilità economica ma soprattutto per le inefficienze delle élite pubbliche e per le ingiustizie sociali legalizzate.
Sull’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, da più parti responsabilmente evidenziata, si richiedono risposte politiche urgenti. Infatti, i settori economici più esposti agli appetiti della criminalità economica sono quelli che risentiranno maggiormente non solo del lockdown in atto ma anche di una ripresa più lenta correlata alla “fase 2”. L’aggressione della criminalità organizzata si evidenzierà più che nel breve periodo in quello medio-lungo, principalmente nei settori del turismo, degli eventi, della ristorazione, dei trasporti e in particolare delle compagnie aeree. Particolare attenzione bisognerà dedicare alle variazioni di proprietà delle attività nelle Camere di Commercio e alle procedure delle sezioni fallimentari dei Tribunali. In questo complesso di fattori, l’intelligence nazionale ha un impegnativo compito previsionale in due aree fondamentali: il prevedibile disagio sociale e le ulteriori infiltrazioni criminali. Due elementi che possono minare alla base la democrazia nel nostro Paese.
A questi rischi ne va aggiunto necessariamente un altro rappresentato dalla circostanza planetaria che, “essendo le crisi stati di necessità in cui il potere costituito può assumere scelte che in condizioni normali ragioni giuridiche e sociali non consentirebbero, i decisori pubblici vedono e trattano le crisi come opportunità per sé stessi e per i loro sponsor, non come problema della collettività”. Che è quanto ha già dimostrato la gestione della terribile crisi finanziaria del 2008.
(Secondo estratto di un’analisi più ampia realizzata dalla Socint. La prima parte si può leggere qui)
La ricerca, curata dal Presidente della Socint Mario Caligiuri, Direttore del Laboratorio sull’Intelligence dell’Università della Calabria, è stata redatta da Mario Caligiuri (Ricaduta Politica – Il problema pedagogico) e dai ricercatori Roberto Macheda (Ricaduta Economica), Francesco Napoli (Ricaduta Industriale – Piccola e Media Impresa), Luigi Barberio (Ricaduta Economica – Ricaduta Industriale) e Luigi Rucco (Ricaduta Scientifica – Problema pedagogico).