L’unica prospettiva che può permettere, nel mondo che viviamo, di (ri)trovare un orizzonte comune è quella interculturale.
Prospettiva mai compiuta, l’interculturalità si misura nella complessità del reale. Tale prospettiva, nell’evolvere, si trova immersa sia nelle potenzialità di ogni cultura di aprirsi al globale sia nei limiti di ogni cultura di chiudersi, rischiando di assolutizzarsi. Per questo, una filosofia interculturale, nel mondo che viviamo, deve lavorare profondamente nel mistero del “comune”.
Ciò che manca, nel mondo di oggi, è l’anima globale (comune) come reciproco “vincolo liberante”. Solo lo scambio tra differenze, processo conflittuale e complesso, può permettere alle stesse, nel lasciarsi contaminare, di conoscersi. È chiaro che, come accade a ciascuno di noi, senza confronto non può esserci crescita ma soltanto crescente auto-considerazione in termini del tutto auto-referenziali (il diventare Verità).
Non sfuggirà al lettore che la prospettiva qui indicata arrivi a condizionare, se percorsa seriamente, le relazioni internazionali, che consideriamo distanti da noi e che invece riguardano direttamente il nostro essere-nel-mondo a partire dal nostro “essere mondo”.
La prospettiva interculturale parte in noi, nel dialogo intrapersonale che sviluppiamo (ri)cercando chi siamo attraverso l’altro. Siamo, per dirla sinteticamente, la parte necessaria di un mosaico che ci supera. Siamo parte della inseparabile esperienza tri-unitaria Uomo-Dio-Cosmo che vive in noi e che ciascuno di noi contribuisce a (ri)creare in maniera originale e irripetibile.
Non ci sono, nella esperienza tri-unitaria che portiamo dentro, elementi separabili dal resto. Detto questo, per comprendere e per (com)prendere il mondo nella prospettiva interculturale, consideriamo che essa non è una rivoluzione ma una rivelazione. Scopriamo la inter-in-dipendenza delle polarità (ognuno di noi è un polo) come parti inseparabili di uno stesso disegno comune-globale.
Nel percorrere la prospettiva interculturale diventa vitale il fatto che ci sono invarianti umane ma non ci sono universali culturali. Facciamo le stesse cose ma in modo differente.
L’oltre, in un mondo che appare bloccato nel confronto muscolare tra rapporti di forza, è nella forza del movimento progettuale che può (ri)trovarsi solo in un dialogo dialogale tra polarità che vanno contestualizzate in una globalità da (ri)costruire. Siamo nel pieno della prospettiva interculturale.
(Professore incaricato di Istituzioni negli Stati e tra gli Stati e di History of International Politics, Link Campus University)