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Hong Kong, ecco la videominaccia cinese agli Usa

Un minaccioso “To abyss, or back” è il titolo di un lungo video (oltre 24 minuti) di China Xinhua News, una delle agenzie di stampa del regime di Pechino, dedicato alle rivolte di Hong Kong e pubblicato nelle ore successive l’arresto di quindici leader pro-democrazia del Porto Profumato. “La più grande crisi di Hong Kong dal suo ritorno in Cina. Quale percorso seguirà Hong Kong? Troverà un modo per tornare alla legge e all’ordine?”: è il messaggio con cui il video viene presentato sui social mentre, al netto di singole e lodevoli dichiarazioni, Italia e Unione europea appaiono immobili davanti agli arresti della polizia cinese.

Come raccontavamo ieri su queste pagine, “le proteste dello scorso anno non si sono interrotte nemmeno nei giorni più critici dell’emergenza: manifestazioni anti-Cina e pro-democrazia ci sono state sia a febbraio che a marzo. L’autorità centrale s’è vista limare autorevolezza in quella decina di mesi in cui singhiozzava davanti ai manifestanti e contemporaneamente accettava la repressione cinese – usata anche come tattica per inasprire i fronti e dipingere chi manifestava come un pericoloso eversivo. Sia Hong Kong che Pechino hanno chiaro che la pandemia ha soltanto attenuato il ritmo delle proteste. E la rabbia repressa potrebbe esplodere quando l’ondata epidemica sarà passata. Anche a questo si legano gli arresti: il Partito ha intenzione di muoversi in anticipo”.

La prosperità di Hong Kong resa possibile da Pechino ma minacciata negli ultimi mesi dalla violenza dei manifestanti e dal ruolo degli Stati Uniti (dall’amministrazione Trump fino alla Cia e i Navy Seal): di questo e di molto altro si parla nel video. Non – e c’era da aspettarselo – della repressione cinese.

Ma uno degli elementi chiave del video è la lingua utilizzata: a parte la testimonianza di Andrey Ostrovsky, vicedirettore dell’Istituto per gli studi sull’Estremo Oriente dell’Accademia della scienza russa, (un habitué dei media del regime cinese) e quella di un leader politico, tutti i contributi sono in lingua inglese. Non soltanto la presentatrice parla in inglese, anche diversi funzionari cinesi e giovani cinesi intervistati dopo essersi opposti alle manifestazioni pro democrazia parlano in inglese. Ci sono i sottotitoli in cinese (e in inglese), ma l’obiettivo è chiaro: il pubblico – e soprattutto la politica – occidentale, anglofona.

“Hong Kong ha raggiunto molti successi nel passato ed è sbocciata come la ‘perla d’Oriente’. Ma è anche la città che ha scioccato il mondo negli ultimi mesi”, dice la presentatrice mentre dietro di lei scorrono immagini di proteste e fiamme. “Nel nuovo anno tutti guarderanno al percorso di Hong Kong. Colerà a picco in questo abisso di violenza? O troverà un modo per tornare a essere la città nota per la legge e l’ordine?”, dice ancora con un sottofondo musicale apocalittico. “Come un mattone: può essere usato come arma di violenza o può essere usato per gettare le basi per costruire un futuro luminoso per la città”. “Auguriamo buona fortuna a Hong Kong” è l’ultima frase prima di “grazie per la visione”. Una frase che sembra indicare ai Paesi occidentale una via, quella già indicata a dicembre dal presidente Xi Jinping: “Su Macao e Hong Kong non permetteremo mai interferenze esterne”.


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