Come il coronavirus cambierà la geopolitica mondiale? Lo scontro fra Stati Uniti e Cina si acuirà? E la Russia che ruolo potrà giocare? Di questo e molto altro Formiche.net ha parlato con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la rivista di geopolitica il cui ultimo numero è intitolato “Il mondo virato”, dedicato alle conseguenze geopolitiche della pandemia di coronavirus.
Quali sono gli effetti del coronavirus sugli equilibri mondiali?
Prima di tutto, dobbiamo chiarire che non si tratta di una pandemia in senso geopolitico, bensì di un’epidemia particolarmente concentrata tra i 20 e i 60 gradi di latitudine Nord, che ha avuto un epicentro iniziale in Cina e si è poi diffusa in Europa e negli Stati Uniti. Questo per dire che chi viene colpito prima evidentemente ha un vantaggio rispetto agli altri che gli permette non solamente di riprendersi ma anche di passare alla controffensiva.
È quanto accaduto alla Cina?
La Cina ha avuto quel mese e mezzo di vantaggio su di noi che gli ha permesso di lanciare una – per ora vittoriosa – campagna di aiuti, che come sempre serve di più a chi aiuta piuttosto che a chi viene aiutato. È il famoso timeo danaos: sia da un punto di vista psicologico, perché crea quasi inconsciamente un sentimento di debito in chi riceve, sia più vastamente in senso di soft power ed egemonia culturale, e cioè la possibilità di apparire come un donatore benevolente che si distingue rispetto a chi quei doni non porta – penso agli altri Paesi europei e ancora di più agli Stati Uniti d’America.
Con che risultati?
Alcuni effetti sono anche già stati misurati. Penso ai risultati del recente sondaggio Swg che racconta come la Cina sia considerata oggi in Italia paradossalmente il Paese più amico. I peggiori nemici, invece, sarebbero i nostri massimi partner europei cioè la Germania e la Francia.
E quanto al rapporto tra Cina e Stati Uniti?
Stiamo assistendo a una fase di ulteriore inasprimento della competizione già avviata almeno da un paio d’anni. Sicuramente nei prossimi mesi questa competizione avrà fasi ancora più acute fino a che o si arriverà a una sorta di compromesso (ma per questo bisognerà attendere quantomeno l’anno prossimo) o a una fase critica che potrebbe anche sfuggire al controllo delle burocrazie diplomatiche e militari dei due Paesi, considerando per esempio il grado e la frequenza degli attriti registrati nel Mar Cinese Meridionale, tanto per citare un caso. Vi è poi una obiettiva differenza di capacità di risposta a un’epidemia su cui è inutile insistere che permette alla Cina, se non altro per l’esperienza che ha in materia, di reagire in maniera più efficiente. Restano però le difficoltà strutturali della Cina che la rendono inevitabilmente più fragile degli Stati Uniti ma questo si potrà misurare probabilmente fra qualche anno.
Qual è stata la reazione del presidente statunitense Donald Trump?
Questa epidemia non è la situazione in cui il presidente si trova a suo agio, l’abbiamo visto anche dalla erraticità della sua risposta: prima è una bufala democratica, poi ne usciremo rapidamente, poi ci saranno 100mila morti… E tuttavia, nella comunicazione pubblica gli va dato atto di una certa efficacia, superata una prima fase di incertezze e dubbi, tentando di cavalcare la rabbia di una parte consistente degli americani, soprattutto del suo elettorato, la cosiddetta flyover America cioè quella che viene normalmente sorvolata dalle persone importanti e benestanti che transitano tra la California e New York ma che è assolutamente decisiva nel sistema americano. Un’America che si ribella all’idea di starsene con le mani in mano magari per mesi in attesa che il coronavirus decida di andarsene altrove. È quell’America che è scesa in piazza in molti Stati e che chiede a gran voce lavoro, che vuole liberamente circolare e che ha avuto come prima reazione al virus non la ricerca delle mascherine, ma delle armi.
La Cina sarà un tema delle prossime presidenziali?
Lo era già prima e lo diventerà sempre più e sempre più acutamente. Sarà interessante vedere se questa crisi nei rapporti con la Cina si accompagnerà a qualche sorta di accomodamento con la Russia o quantomeno a una recessione della campagna polemica e non solo che gli Stati Uniti hanno ingaggiato negli ultimi dieci anni, in particolare dopo la crisi in Ucraina. Perché per l’America è impossibile ma anche insensato immaginare di contrastare contemporaneamente russi e cinesi. Sarebbe molto più logico, forse anche un po’ troppo logico, immaginare di scegliere uno dei due, inevitabilmente il più debole cioè la Russia, come strumento utile a scardinare l’equilibro del rivale. C’è quindi una possibilità, per ora solo teorica e di cui ci sono alcuni segnali, che la competizione fra Stati Uniti e Russia diventi meno acuta parallelamente all’acutizzarsi di quella con la Cina. E sicuramente sarà un tema di politica estera ma anche interna delle presidenziali perché la Cina ormai è un problema che sta dentro gli Stati Uniti vista la formidabile interdipendenza tra i due Paesi, che è uno dei motivi per cui gli americani si sentono derubati di tecnologie dai cinesi e truffati da un Paese in cui hanno investito.
L’Europa è ormai il terreno di scontro tra le due superpotenze.
Lo è almeno da tre o quattro anni, cioè da quando Xi Jinping ha utilizzato il modello delle Nuove vie della seta, cioè di una proiezione apparentemente economico-commerciale verso l’Europa che però inevitabilmente ha anche una controfascia strategica e culturale. La Cina sta penetrando nell’impero europeo dell’America e che per l’America è assolutamente irrinunciabile. La Cina ha vincolato attraverso lo schema 17+1 una parte consistente del nostro continente al progetto delle Vie della Seta. Tuttavia, poi intervengono i fattori strutturali di debolezza della Cina, per esempio la crisi, già evidente prima del coronavirus, del modello di sviluppo che già negli ultimi anni aveva portato a una riduzione della crescita piuttosto sostanziale. Tutto questo non deve anche farci dimenticare che la capacità di soft power cinese, a parte questa campagna molto efficiente sugli aiuti, non è poi così formidabile nemmeno in Italia ma soprattutto in altri Paesi europei.
Come mai l’Italia è finita nel mirino cinese?
Perché l’Italia è il più debole fra i Paesi europei importanti per l’America ed è collocata in una posizione geopolitica e geografica fondamentale, al centro del Mediterraneo, collegamento inevitabile tra l’Africa e l’Europa. Inoltre, per qualsiasi forma di commercio e traffico tra Asia e Europa la nostra portualità ha un vantaggio, che in termini strettamente geografici ha, ma perde, a favore dei porti del Nord, per la loro maggiore efficienza.
Pesa anche la debolezza politica?
La fragilità politica e istituzionale ma in generale anche del funzionamento delle nostre tecnocrazie aiuta la penetrazione estera, non solo cinese per carità, un po’ di tutti quelli che hanno interessi nel nostro Paese. E questo ha permesso per esempio di avere in Italia, cosa che a mia memoria non era mai accaduto salvo gli studenti maoisti degli anni Settanta, una vera e propria lobby cinese, cioè degli italiani in posizioni anche abbastanza importanti e influenti che sostengono la necessità di avere un rapporto privilegiato con la Cina magari anche a scapito di quello con l’America.
Come leggere gli aiuti russi, invece?
Intanto, a differenza della Cina, la Russia ha sempre avuto in Italia un certo grado di influenza e di simpatia. Direi quasi al di là della politica: l’Italia ha avuto un rapporto sentimentale con la Russia, e viceversa, almeno dall’Ottocento e ha sviluppato rapporti politici, economici, commerciali, ideologici ai tempi del comunismo, speciali con la Russia. Ma non parlo solo del Partito comunista ma anche di Mattei, Agnelli piuttosto che di grandi politici democristiani come Fanfani, Gronchi e così via. L’Italia ha una sua intrinsichezza reciprocata con la Russia. Inoltre, la Russia fa di tutto, com’è normale dal suo punto di vista, per creare delle faglie nello schieramento atlantico. E l’Italia, proprio per le ragioni che dicevamo prima di debolezza intrinseca e di scarso funzionamento delle sue burocrazie (anche di quelle che dovrebbero garantire la nostra sicurezza), è terreno più facile. Aggiungerei un’altra cosa che riguarda quanto detto prima su Stati Uniti e Russia.
Prego.
A meno che le strutture americane presenti in Italia, che sono piuttosto corpose, non fossero tutte contemporaneamente in stato di ubriachezza, mi pare difficile immaginare che i voli russi verso l’Italia siano potuti accadere senza una qualche forma di assenso da parte americana. E allora, valga il caveat iniziale, dobbiamo dedurne che probabilmente gli Stati Uniti hanno voluto segnalare, ammettendo questa missione russa in Italia, un certo grado di condiscendenza. Che potrebbe anche essere spiegato con la volontà di lanciare un segnale alla Russia.
Colpisce vedere in un Paese Nato militari di uno Stato rivale dell’alleanza stessa.
Bisogna sempre considerare che la Nato non è alleanza nel senso classico del termine ma è semplicemente lo strumento che permette agli Stati Uniti di stare in Europa e di legittimare la loro presenza. Da questo punto di vista è chiaro che il nemico russo è assolutamente funzionale, direi quasi necessario. Quello che mi pare evidente è che siccome le maglie dell’alleanza atlantica oggi sono meno strette di quanto fosse qualche anno fa, si può immaginare che alcuni Paesi vogliano giocare contemporaneamente su più tavoli. A parte il caso italiano, la Francia per bocca del presidente Emmanuel Macron ha detto ripetutamente che con la Russia bisogna ristabilire rapporti decenti e collaborativi.
Un’idea potrebbe essere il ritorno al formato G8 come già Trump ha ventilato?
Quello sarebbe però un segnale macro che probabilmente non è all’orizzonte dei mesi ma degli anni. Se Trump venisse rieletto in un contesto di crisi acuta con la Cina, e anche gli apparati e l’opinione pubblica considerassero come lui personalmente necessaria un’apertura alla Russia, quello potrebbe essere un gesto sicuramente importante e che credo sarebbe appoggiato da quasi tutti gli altri leader.
A proposito della Cina. Come potrebbe impattare sul regime il coronavirus?
Ci sono alcuni elementi nuovi e interessanti nel modo in cui i cinesi hanno reagito al Covid-19. Due in particolare. Il primo è un accento, per me abbastanza nuovo, sulla salute rispetto ad altre categorie a cominciare dall’economia: sono bastate, dico tra virgolette, poche morti cinesi – almeno per quello che si sa – per costringere il regime a un giro di vite non totale ma comunque importante che ha decretato una crisi della produzione e del funzionamento dell’economia cinese molto sensibile. Tutto questo perché l’opinione pubblica cinese non poteva evidentemente tollerare un’epidemia che facesse centinaia di migliaia di morti come sarebbe accaduto se, com’era per altro possibile, il regime avesse deciso di non accentuare troppo la repressione del contagio e puntare invece sul tenere aperte le catene produttive e commerciali.
Il secondo elemento, invece?
Quando la gente ha capito come stavano le cose e che le notizie su quello che accadeva non erano esattamente precise, questa rabbia è stata piuttosto forte e neppure troppo censurata dal regime. Xi Jinping stesso ha detto “abbiamo capito, abbiamo tollerato e abbiamo perdonato”, una sorta di veni, vidi, vici: abbiamo capito le proteste, abbiamo tollerato ammettendo quindi di aver fatto qualcosa che normalmente non avrebbe voluto fare (cioè tollerare, ndr), abbiamo perdonato per dire “avete fatto qualcosa che non si deve ripetere”. Tutto questo ci dice che sicuramente è in corso una battaglia piuttosto seria anche ai vertici del regime. Ma non credo si possa arrivare a trarne conclusioni catastrofiche. Sarà molto interessante vedere quando verrà convocata assemblea annuale del Congresso del popolo, che doveva tenersi a inizio marzo e che è stata rinviata sine die, e soprattutto vedere se in quell’occasione, immagino dopo l’estate, ci sarà qualche evidente polemica o resa dei conti nel gruppo dirigente. Certo è che sono uscite sulla rete delle accuse anche dirette contro la persona del presidente Xi piuttosto serie – personaggi anche autorevoli l’hanno accusato di essere un clown senza vestiti e cose di questo genere – che normalmente in una dittatura efficiente non dovrebbero essere consentite. Qualcosa si sta muovendo e il regime sta cercando di adattarsi a questa emergenza ben sapendo che un Paese delle dimensioni, della storia e della cultura della Cina non può essere retto solo con il bastone – e non lo è d’altronde.