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Israele, governo di unità o di emergenza Covid-19? Parla Ravid (Channel 13)

Governo d’emergenza o governo di unità nazionale? Dipende da chi ne parla. In Israele il premier Benjamin Netanyahu e il suo sfidante Benny Gantz sembrano aver deciso di seppellire definitivamente l’ascia di guerra per dare al Paese un esecutivo scongiurando il ricorso a una quarta tornata elettorale in meno di un anno e mezzo. 

Per “Re Bibi”, padre padrone del Likud che da 20 anni domina la politica israeliana e dal 2009 è ininterrottamente a capo del governo, si tratta di un governo di unità nazionale. Invece per Gantz, ex capo di stato maggiore dell’Idf oggi leader di Blu e bianco, è soltanto un governo d’emergenza che vede la luce per non aggiungere instabilità a una situazione già grave a causa del coronavirus (nel Paese sono oltre 3.000 i casi e 12 le vittime). A sostenerlo in una chiacchierata con Formiche.net è Barak Ravid, corrispondente diplomatico dell’emittente televisiva israeliana Channel 13 che ogni tanto scrive anche per la testata statunitense Axios.com. “Ognuno vuole rappresentare l’intesa all’interno della sua narrativa”, ci spiega. Quindi il premier uscente continua sulla sua linea personalistica da salvatore della patria. Il suo ormai ex rivale, invece, vuole fare appello all’emergenza da coronavirus per rispondere a chi gli sta ricordando che la sua discesa in campo era nata dalla volontà di mettere fine al regno di Bibi. 

È una scommessa per entrambi davanti alla quale Blu e bianco ha iniziato a sgretolarsi subito dopo l’elezione di Gantz alla presidenza della Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, con 74 voti a favore e 18 contrari. Decisivi quelli di Likud di Netanyahu. Dopo questo passaggio è stata chiara a tutti la direzione intrapresa dagli ex rivali. Nel primo discorso da presidente della Knesset, Gantz, deciso a sfruttare a pieno il suo nuovo ruolo per essere centrale nei lavori parlamentari, ha invocato la necessità di un governo di unità nazionale per fronteggiare la pandemia di Covid-19: “Non stiamo vivendo tempi normali, siamo chiamati a prendere decisioni difficili. La cosa migliore che possiamo fare per non compromettere la democrazia è impegnarci tutti insieme”. Ma immediatamente i due alleati di Gantz in Blu e Bianco, Yair Lapid e Moshe Yaalon (che di Netanyahu sono già stati ministri), hanno chiesto di uscire dall’alleanza spaccando di fatto quella coalizione di centro costruita proprio per sfidare il Likud.

Il patto sembra essere questo: Netanyahu rimarrà primo ministro per almeno altri 18 mesi nonostante l’inizio del processo a suo carico. Nel frattempo Gantz sarà il suo vice con un ministero peso per poi rimpiazzarlo a fine settembre 2021. “Non è ancora chiaro se Gantz sarà ministro degli Esteri o della Difesa”, ci spiega Ravid. A Blu e bianco spetteranno, tra gli altri, questi due ministri chiave oltre a quella della Giustizia.

Ravid insiste su un punto: i consiglieri di Gantz dicono che l’intesa sarà sancita da una legge ma non è chiaro in che modo. “Pochissime persone credono davvero che Netanyahu rispetti l’accordo di rotazione”, sottolinea Ravid. “Perfino all’interno del Likud sono in pochissimi quelli che credono lo farà”. Si cerca di correre ai ripari ma non si sa come. C’è solo una possibilità, aggiunge il corrispondente di Channel 13: “L’unico scenario che vede Netanyahu rispettare la rotazione è quello in cui Gantz promette che sarà lui prossimo presidente sostituendo Reuven Rivlin tra poco più di un anno”. L’incarico del presidente Rivlin, infatti, scade nel luglio del 2021, tempismo perfetto per l’accordo tra i due. E, sottolinea Ravid, “il presidente gode dell’immunità dai processi. Di conseguenza, questa è un’ottima opzione per Netanyahu per fermare i procedimenti a suo carico”.

Che cosa cambierà, invece, a livello internazionale? “Uno dei principali punti di disaccordo tra i due partiti è il piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump”, ci spiega Ravid: “Netanyahu vuole che il nuovo governo annette la Valle del Giordano e gli insediamenti nella West Bank. Gantz, invece, è contrario all’annessione e chiede che venga preservato lo status quo nella West Bank”.

Gantz, incontrando il presidente Trump, aveva definito storico il suo piano e promesso di implementarlo. Ma, precisa Ravid, “implementarlo all’interno di un processo di pace, non unilateralmente” come invece è intenzionato a fare Netanyahu. Molto dipenderà da quale ministero Gantz sceglierà per sé. Ma intanto il mondo statunitense sembra aver accolto molto positivamente l’accordo tra i due ritenendolo una garanzia per il piano del presidente Trump.


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