Il virus si diffonde nell’aerospazio. Dopo Boeing, è l’europea Airbus a cercare aiuti pubblici per far fronte all’emergenza coronavirus. Il colosso franco-tedesco ha cancellato il dividendo e aumentato la linea di credito, sulla scia di previsioni drammatiche per il trasporto aereo globale. Sul fronte della Difesa, il rischio di recessione alimenta ovunque i timori di tornare ai tagli di budget sperimentati dopo la crisi del 2008, quando negli Stati Uniti scattò la sequestration e l’Italia avviò una lunga sfilza di bilanci risicati. Il Pentagono però si è già messo in moto per evitare gli scenari più bui, accelerando i pagamenti per le aziende Usa e dotandosi di maggiore flessibilità in sede contrattuale. La Difesa europea, invece, resta non pervenuta.
I PROBLEMI DI AIRBUS
A segnare il trend è un gigante del calibro di Airbus. Come avevano previsto gli esperti, il gruppo ha deciso di cancellare il dividendo per il 2019 (1,80 euro per azione, pari a 1,4 miliardi di euro), annullando anche le previsioni di bilancio per il 2020. La misura più significativa è però il ricorso a una linea di credito elevata da 20 a 30 miliardi. Il numero uno del gruppo Guillaume Faury ha parlato di “tempi eccezionali”, ed è per questo che i più informati parlano di richieste dirette al governo francese per dare supporto al settore aerospaziale.
UN DURO COLPO IN ARRIVO
L’obiettivo è soprattutto tenere in vita la corposa filiera, mentre Airbus ha escluso con forza ogni scenario di salvataggio per l’azienda, sebbene non escluda rimodulazioni ulteriori di attività a seconda dell’evoluzione del contagio. Già la scorsa settimana, gli stabilimenti in Francia e Spagna avevano visto la chiusura di quattro giorni per le attività di sanificazione, mentre era arrivata la revisione al ribasso del rating (fino a “neutral”) da parte di JP Morgan Cazenove. Gli analisti prevedono che il colosso franco-tedesco “subirà un duro colpo” sulle consegne.
LA SITUAZIONE DI BOEING
Dall’altra parte dell’Atlantico tutti gli occhi sono puntati su Boeing, su cui peraltro già prima del coronavirus pesava la messa a terra da ormai un anno del 737 Max in seguito ai due drammatici incidenti. Venerdì scorso, il costruttore americano ha annunciato la sospensione del dividendo, l’estensione dello stop al riacquisto di azioni proprie già scattato ad aprile 2019 e il congelamento degli stipendi per il ceo David Calhoun e per il presidente del board Larry Kellner.
VERSO IL SUPPORTO DI TRUMP
Misure che sono state lette come un tentativo di demolire ogni critica avanzata sulla richiesta già presentata di supporto governativo: 60 miliardi di dollari in garanzie per ottenere linee di credito poderose. Sempre venerdì, è stato d’altra parte lo stesso presidente Donald Trump a chiarire che ci saranno “limiti” alle aziende che beneficeranno del supporto statale, tra cui proprio l’assenza di iniziative di buyback. Il presidente era stato il primo a promettere sostegno a Boeing.
DAI COSTRUTTORI ALLE COMPAGNIE
Le difficoltà dei costruttori non sono solo il frutto della riduzione delle attività in uffici e stabilimenti, ma soprattutto della riduzione imponente del traffico aereo, fenomeno che ha già colpito con forza la prima linea del settore: le compagnie. Su tutti i vettori (anche quelli più strutturati) soffiano venti di crisi, tra revisioni al ribasso di rating e stime di perdite globali nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari. Secondo l’Associazione internazionale del trasporto aereo (la Iata, che riunisce 290 compagnie aeree), in Europa la crisi riguarda 12,2 milioni di posti di lavoro. Il comparto si attende ripercussioni maggiori di quelle sperimentate dopo l’11 settembre, dopo la crisi finanziaria del 2008 e dopo la Sars.
LA RICHIESTA DI SOSTEGNO
La richiesta già presentata ai governi del Vecchio continente è di un sostegno complessivo, su scala globale, per 200 miliardi di dollari. “Senza un aiuto adatto, le compagnie non saranno pronte a riprendere le operazioni” quando terminerà l’emergenza, ha detto il vice presidente della Iata Rafael Schvartzman. “Molti vettori non esisteranno più”. D’altra parte, le stime di Eurocontrol mostrano riduzioni di traffico significative, dell’87% per l’Italia, nel 57% per la Francia e del 37% per il Regno Unito solo per citare alcuni tra i maggiori Paesi europei.
IL SETTORE DELLA DIFESA
Non è estraneo a ipotesi di criticità il comparto della Difesa, su cui rischiano di pesare due fenomeni. Nel breve termine, l’interruzione di alcune attività potrebbe incidere sulle filiere industriali, con riduzioni di liquidità difficili da affrontare. Lo ha spiegato su queste colonne il presidente dell’Aiad, Guido Crosetto: “Le aziende sono abituate a fatturare, scontare le fatture ed effettuare i pagamenti; non potendo farlo, salteranno i pagamenti (ne saltano anche molti adesso) e il prossimo mese saranno in molte di più a non poter pagare; è come un domino: la debolezza di molte si abbatterà su tutte”.
I TIMORI ITALIANI
Nel lungo termine, le preoccupazioni riguardano l’ipotesi di recessione una volta terminata l’emergenza. Allora, i budget per la Difesa potrebbero vedere riduzioni significative, come fu nel caso della crisi del 2008-2009. Una situazione temuta in particolare in Italia, dove solo per il 2020 sono emersi segnali incoraggianti su un’inversione di tendenza rispetto ad anni di budget piuttosto risicati (lo spiegavamo qui). Certo, quando bisognerà capire dove e come tagliare, è opportuno considerare che la Difesa resta un comparto strategico, a forte impatto sull’economia nazionale (a partire dagli investimenti in ricerca e sviluppo) e soprattutto determinante per la sicurezza nazionale.
LE MISURE DEL PENTAGONO
Non è un caso che il Pentagono (che per il 2020 si è già visto autorizzare una spesa da 730 miliardi di dollari) abbia messo in atto misure significative per affrontare la situazione e tutelare il comparto a stelle e strisce. Misure che partono proprio dalla crisi di liquidità nel breve periodo. Domenica, il dipartimento guidato da Mark Esper ha informato di aver aumentato i pagamenti progressivi sui contratti in essere, dall’80 al 90% dei costi per le grandi aziende e dal 90 al 95% per le medie e piccole. L’obiettivo è aumentare i flussi di cassa per evitare carenze di liquidità, ragion per cui sono stati accelerati i pagamenti ai prime contractor, chiedendo loro di fare lo stesso sulle rispettive filiere. La misura era stata chiesta dalle aziende americane con il supporto anche del Congresso.
AZIENDE STRATEGICHE
Nella stessa nota, tra l’altro, il Pentagono ribadiva l’importanza di tutelare il settore da eventuali scalate dall’esterno (esigenza su cui si discute anche in Italia). È anche per questo, nota DefenseNews, che tutto il comparto è stato inserito dal dipartimento della Difesa nella lista delle “infrastrutture critiche” stilata dal dipartimento per la Sicurezza nazionale. Tale elemento, oltre ad alzare la soglia d’attenzione su tentativi sospetti dall’esterno, serve per permettere alle aziende di proseguire le attività anche nel caso in cui gli Stati federati (è successo a New York) imponessero lo stop per l’emergenza coronavirus.