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Aveva davvero ragione Mitt Romney?

Sta diventando un “tormentone” il titolo, molto azzeccato, di un articolo di John Arquilla su Foreign Policy di qualche giorno fa: “Mitt Romney was right“.
Il candidato repubblicano avrebbe il merito, secondo Arquilla (esperto di cyberwar e vicino all’ex segretario alla difesa Rumsfeld) di aver detto, nella campagna elettorale del 2012, che la Russia è niente meno che “il nemico geopolitico numero uno” degli Stati Uniti.
Il caso Snowden da questo punto di vista è solo “la punta dell’iceberg”. La verità è che il ritorno di questa rivalità Usa-Russia sta soprattutto nella politica condotta dai russi in Siria, dove Mosca vede Damasco come architrave occidentale di un asse anti-sunnita che parte a est da Teheran e passa dall’Iraq dominato dagli sciiti filoiraniani.
Che un esperto di cose militari critichi Obama non è certo una novità. Forse è più scioccante la proposta che consegue dall’approccio antirusso di Romney, portato alle “estreme conseguenze”: ovvero allearsi ai sunniti irakeni (e persino ai gruppi alqaedisti) per rovesciare gli equilibri a Baghdad. Una scelta di questo tipo, secondo Arquilla, può essere associata ad un escalation delle forniture militari ai ribelli siriani, accompagnata magari da trattative di pace per il post-Assad.
Insomma Romney avrebbe segnalato, con la sua affermazione, che “la grande potenza geopolitica conta ancora”: risorse energetiche, forze strategiche e missilistiche, capacità diplomatiche di Mosca sono ancora “formidabili”. Al punto, dunque, da costruire attorno al nuovo containment della minaccia russa tutta una serie di conseguenze politiche alcune delle quali appaiono francamente inquietanti.



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