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Miccoli e altri, campioni viziati e stralunati

Pubblichiamo un’analisi del giornalista, scrittore e conduttore tv Federico Guiglia uscita oggi su L’Arena di Verona, il Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.

Si credono onnipotenti. Per il solo fatto d’essere acclamati da folle osannanti allo stadio, per la capacità che mostrano nel saper dare un calcio al pallone -semplicemente un calcio al pallone-, pensano di potersi permettere tutto. O quasi. Ma il successo quand’è così facile e rapido, può dare alla testa.

Il fiume di denaro e di vita non vissuta o vissuta male nel quale spesso nuota questa “generazione dei campioni”, non solo non bagna la felicità, come si sa, se non di rado: a volte tradisce la penuria di valori, o l’assenza di sacrifici alle spalle, o la manifesta ignoranza. Proprio nel senso di “non conoscenza” delle cose della vita al di là della “discesa in campo”.

Certo, noi li amiamo di un amore bambino i tanti giocatori del nostro cuore, perché ci fanno sognare. Inseguendo loro il pallone, noi rincorriamo la nostra infanzia. Ma così rischiamo anche di rendere certi divetti dell’Olimpo domenicale completamente diversi dalla generazione impegnata di tanti nostri figli.

La generazione che non vive di applausi, di magliette levate dopo il gol per esibire i muscoli. La generazione, al contrario, che fatica col fisico e con la testa perfino per farsi ascoltare, e non solo perché ha scelto di farsi strada in silenzio. Azzardiamo (ma mica tanto): i ragazzi e le ragazze che meriterebbero le ole delle tribune in festa, sono quelli che invece dimentichiamo, che emigrano all’estero, che passano da lavoretti di tre mesi in tre mesi pur laureati -e spesso con lauree e voti d’eccellenza-, che non trovano lavoro e devono consolarsi con l’affetto e il tetto offerti da mamma e papà.

Ecco, la conferenza-stampa delle lacrime e delle scuse di Fabrizio Miccoli, l’ex capitano del Palermo che ha chiesto perdono alla sua città e alla famiglia Falcone dopo le irripetibili parole-choc che ha usato nei riguardi del grande magistrato ucciso dalla mafia in un’intercettazione telefonica nell’ambito di un’indagine per estorsione e accesso abusivo a un sistema informatico, fa venire in mente l’”altra Italia”.

Quella dei giovani che non piangono né rimpiangono, perché non hanno nulla da farsi perdonare. Quella dei ragazzi che non sono interessati alla fama, ma al valore delle loro imprese, piccole o immense che siano.

Quella dei tantissimi italiani che si affacciano al mondo degli adulti senza vivere tra i privilegi di partite o di partito. Gente che suda, che viaggia, che soffre. Per una volta e mentre la nostra sempre amata Nazionale “scende in campo” in Brasile, pensiamo all’Italia che non si vede, che non mette le scarpette firmate ai piedi d’oro, che nessuna telecamera insegue, ma che di sicuro “vale” tutti i nostri sogni.

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