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Un Nobel per la Pace a… Roma. Il valore del WFP spiegato da Emanuela Del Re

“Grande gioia”. È il sentimento che esprime più volte Emanuela Del Re, viceministra agli Affari esteri e cooperazione internazionale, nel corso di un colloquio telefonico con Formiche.net dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace al World Food Programme.

La viceministra agli Affari esteri festeggia il Nobel per la pace assegnato al World Food Programme: “È un premio a un’agenzia che rappresenta tanti Paesi, l’Italia in primis” — e una grande unità spirituale, politica e di visione”, spiega volendo esprimere poi un sentito ringraziamento a David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme e a tutto lo staff, gli operatori. “È la dimostrazione che dobbiamo fidarci di agenzie che siano in grado di mettere in pratica concretamente, anche a nostro nome, i nostri principi. E nell’ambito della sicurezza alimentare, chi meglio del World Food Programme?”.

Viceministra, perché questo premio secondo lei?

L’importante ramificazione dell’agenzia — un aspetto che immagino sia stato preso in grande considerazione nell’assegnazione del premio — permette di raggiungere moltissimi Paesi, entrare nelle comunità, intervenire sui problemi in maniera diretta e fare la differenza laddove le circostanze sono invece molto difficoltose.

Nell’assegnazione il coronavirus ha rappresentato un fattore secondo lei?

Il World Food Programme, specialmente in un periodo storico come quello attuale contraddistinto dalla pandemia di coronavirus, si è trovato ancora di più in prima linea. Basti pensare che già nel rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo pubblicato a luglio si spiegava che entro il 2030 avremo 840 milioni di persone in stato di insicurezza alimentare rispetto alle 690 dell’anno scorso. Questo deve farci pensare a quanto una strategia importante come quella del World Food Programme possa portare sollievo e rappresentare soprattutto una luce al fondo del tunnel, dando sì un supporto ideologico — sollevando cioè costantemente il problema della sicurezza alimentare — ma anche impegnandosi con un importante programma di assistenza finanziaria.

Lei ha accolto questo premio sottolineando il ruolo italiano.

L’Italia ospita un centro importantissimo a Brindisi, lo Humanitarian Response Depot, che ha costituito un modello per gli hub successivi, per la la logistica internazionale e l’approvvigionamento di beni. Dell’ultimo caso sono stata partecipe in prima persona: quello degli aiuti di emergenza inviati al Libano a seguito della grande esplosione al porto di Beirut.

Si può fare di più?

Sono due anni che penso che possa diventare un hub ancora più importante e che possa addirittura diventare una città umanitaria vista la sua posizione geografica assieme strategica. Mi faccia aggiungere una cosa.

Prego.

L’Italia, oltre a essere parte di questa rete di logistica, è anche il primo Paese donatore dell’intera rete di logistica delle Nazioni Unite: il Maeci dà 33,3 milioni di euro, includendo sia i contribuiti volontari sia quelli obbligatori del World Food Programme. Ed è una cosa che ci rende molto orgogliosi e che fa dell’Italia un Paese centrale per il multilateralismo. Basti pensare alle molte sedi di organizzazioni internazionali che ospitiamo sul nostro territorio.

Il premio a un’organizzazione così importante nel sistema multilaterale rappresenta anche una spinta verso quel modello che oggi è da più parti e per diverse ragioni sotto attacco?

È vero, c’è una narrativa contraria al multilateralismo. Ma l’Italia non ne è partecipe. Anzi, sotto questo profilo è uno degli attori più importanti al mondo. Spesso chi critica il multilateralismo non comprende il fatto che agire assieme contro le difficoltà del mondo, tra cui l’insicurezza alimentare, non è esclusivamente un imperativo etico o morale: è anche una questione di convenienza e interesse perché tutto il mondo è interconnesso.

Questo Nobel valorizza anche l’operato della politica italiana?

È la conferma della nostra azione positiva: quando puntiamo sui cavalli, lo facciamo su quelli giusti. Come il World Food Programme. L’accordo per ospitare il deposito di Brindisi è stata una scelta giusta, che ha dimostrato che l’Italia è pioniera e capace di grande innovazione in tutti i settori del sistema multilateralismo.

“Grande gioia”. È il sentimento che esprime più volte Emanuela Del Re, viceministra agli Affari esteri e cooperazione internazionale, nel corso di un colloquio telefonico con Formiche.net dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace al World Food Programme.

La viceministra agli Affari esteri festeggia il Nobel per la pace assegnato al World Food Programme: “È un premio a un’agenzia che rappresenta tanti Paesi, l’Italia in primis” — e una grande unità spirituale, politica e di visione”, spiega volendo esprimere poi un sentito ringraziamento a David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme e a tutto lo staff, gli operatori. “È la dimostrazione che dobbiamo fidarci di agenzie che siano in grado di mettere in pratica concretamente, anche a nostro nome, i nostri principi. E nell’ambito della sicurezza alimentare, chi meglio del World Food Programme?”.

Viceministra, perché questo premio secondo lei?

L’importante ramificazione dell’agenzia — un aspetto che immagino sia stato preso in grande considerazione nell’assegnazione del premio — permette di raggiungere moltissimi Paesi, entrare nelle comunità, intervenire sui problemi in maniera diretta e fare la differenza laddove le circostanze sono invece molto difficoltose.

Nell’assegnazione il coronavirus ha rappresentato un fattore secondo lei?

Il World Food Programme, specialmente in un periodo storico come quello attuale contraddistinto dalla pandemia di coronavirus, si è trovato ancora di più in prima linea. Basti pensare che già nel rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo pubblicato a luglio si spiegava che entro il 2030 avremo 840 milioni di persone in stato di insicurezza alimentare rispetto alle 690 dell’anno scorso. Questo deve farci pensare a quanto una strategia importante come quella del World Food Programme possa portare sollievo e rappresentare soprattutto una luce al fondo del tunnel, dando sì un supporto ideologico — sollevando cioè costantemente il problema della sicurezza alimentare — ma anche impegnandosi con un importante programma di assistenza finanziaria.

Lei ha accolto questo premio sottolineando il ruolo italiano.

L’Italia ospita la sede centrale del World Food Programme a Roma e un centro importantissimo a Brindisi, lo Humanitarian Response Depot, che ha costituito un modello per gli hub successivi, per la la logistica internazionale e l’approvvigionamento di beni. Dell’ultimo caso sono stata partecipe in prima persona: quello degli aiuti di emergenza inviati al Libano a seguito della grande esplosione al porto di Beirut.

Si può fare di più?

Sono due anni che penso che possa diventare un hub ancora più importante e che possa addirittura diventare una città umanitaria vista la sua posizione geografica assieme strategica. Mi faccia aggiungere una cosa.

Prego.

L’Italia, oltre ad essere parte di questa rete di logistica, è tra i principali Paesi donatori dell’intera rete di logistica delle Nazioni Unite: il nostro contributo per il 2020 del Maeci è pari a 33,3 milioni di euro, includendo sia i contribuiti volontari sia quelli obbligatori del World Food Programme. Ed è una cosa che ci rende molto orgogliosi e che fa dell’Italia un Paese centrale per il multilateralismo. Basti pensare alle molte sedi di organizzazioni internazionali che ospitiamo sul nostro territorio.

Il premio a un’organizzazione così importante nel sistema multilaterale rappresenta anche una spinta verso quel modello che oggi è da più parti e per diverse ragioni sotto attacco?

È vero, c’è una narrativa contraria al multilateralismo. Ma l’Italia non ne è partecipe. Anzi, sotto questo profilo è uno degli attori più importanti al mondo. Spesso chi critica il multilateralismo non comprende il fatto che agire assieme contro le difficoltà del mondo, tra cui l’insicurezza alimentare, non è esclusivamente un imperativo etico o morale: è anche una questione di convenienza e interesse perché tutto il mondo è interconnesso.

Questo Nobel valorizza anche l’operato della politica italiana?

È la conferma della nostra azione positiva: quando puntiamo sui cavalli, lo facciamo su quelli giusti. Come il World Food Programme. L’accordo per ospitare il deposito di Brindisi è stata una scelta giusta, che ha dimostrato che l’Italia è pioniera e capace di grande innovazione in tutti i settori del sistema multilateralismo.


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