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Phisikk du role – Bismarck e il garante dell’anziano

Ma quand’e’ che una persona diventa anziana? La dinamica sociale del nostro mondo ha una risposta pronta, probabilmente meno certa di quanto non lo fosse qualche tempo fa, ma sufficientemente appagante per la convenzione burocraticamente accolta: 65 anni, la storica età della pensione, elasticizzata in estensione e in riduzione, secondo il ghiribizzo delle riforme (e dei ministri) e tuttavia riferimento ineludibile. Usata per definire l’uscita dall’età produttiva e l’ingresso di quella “a carico dell’ente previdenziale”.

Che il riferimento tenga è testimoniato dal costo dei biglietti del cinema, dei musei e dei trasporti, non dalla cortesia dei più giovani perché il posto nell’autobus non lo lascia più nessuno. Più remota è l’origine di quella scelta dei 65 anni per la fissazione delle colonne d’Ercole dell’anzianità, che si deve ad uno statista di due secoli fa, Otto Von Bismarck. In un tempo in cui quel traguardo non era alla portata di molti, il “Cancelliere di ferro”, primo ministro del Regno di Prussia e, appunto, Cancelliere del Reich, pensò bene di far risparmiare l’Inps della Germania imperiale, tirando il collo dell’età produttiva il più possibile.

Da allora – più di un secolo e mezzo – il canone del tramonto non è più cambiato. Mentre sono cambiati e molto gli “anziani”, tanto da far rielaborare il criterio di classificazione da parte della scienza. Non è un caso, allora, se la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (il cui nome già la dice lunga sull’oggetto delle sue riflessioni crepuscolari) abbia proposto già da qualche anno di alzare di un decennio l’asticella dell’anzianità, suggerendo, peraltro, di rinominare gli scaglioni di età: l’ossimorico giovani-anziani, per indicare la fascia tra i 64 e i 74 anni; gli anziani propriamente detti, per la fascia compresa nel decennio successivo ( 75-84); i grandi vecchi (85-99) e i centenari per chiudere la short list.

E la considerazione “a fisarmonica” delle età del crepuscolo non è solo una roba accademica, con qualche effetto psicologico (penso alla gioia del “giovane-anziano”), ma ha anche risvolti economici e politici rilevantissimi. Se, per esempio, adottassimo il criterio “largo” (over 65) per calcolare il pianeta anziani, avremmo di fronte una popolazione di quasi 14 milioni di italiani, circa il 23%, poco meno di un quarto dell’intero paese. Se fosse un partito oggi contenderebbe il primato alla Lega.

Se, invece si calcolasse solo la popolazione “over 75”, gli anziani-anziani sarebbero solo l’11,8%. Una fetta consistente, non c’è che dire, ma del valore pari a meno della metà del gruppone più largo. Ma, quale che possa essere il criterio per catalogare l’anziano, è indubbio che la parte della popolazione in età, per così dire, supermatura, è restata per mesi sugli scudi per la sua fragilità nella storia maledetta del coronavirus. E ha disvelato ai più la realtà delle Rsa e delle Case di Riposo, e la loro pervicace attitudine a dispensare la forma “eterna” di quel riposo promesso.

Non è rintracciabile una contabilità precisa dei decessi degli “anziani” (accezione “larga”) nei luoghi destinati al loro accudimento, ma nei mesi passati abbiamo preso cognizione tutti di quali strutture spesso stessimo parlando, dalla cronaca impazzita dei decessi in quelle comunità destinate ad essere “protette” nell’interesse degli ospiti e non dal controllo delle autorità. Né i periodi antecedenti a quello disgraziato del Covid-19 ci hanno regalato esempi particolarmente esaltanti di vita in questi luoghi. Ecco, allora, una modesta proposta: intanto che decidiamo dove vanno messi i paletti dell’anzianità, perché non provvediamo a garantire un serio controllo di quel che accade in quelle comunità destinate ad accogliere i nostri padri e i nostri nonni? Abbiamo una gamma infinita di autorità di controllo ed anche di garanti per fasce d’età e categorie ritenute più fragili. Perché non dedicare un’attenzione anche a questa categoria che poi, ineluttabilmente, è destinata a diventare, prima o poi, a Dio piacendo anche la nostra? Sarebbe un gesto di civiltà. Apprezzato, forse, da quel quarto ( quasi) di popolazione italiana.


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