Caro direttore,
L’intervista pubblicata a Giancarlo Galan sul “ritorno al futuro” del partito di uno strapazzato Berlusconi mi ha fatto tornare alla memoria una comune circostanza di vita vissuta.
L’ultima volta che ebbi l’opportunità di incontrarlo fu in occasione di una delle numerose manifestazioni contro il fisco oppressivo organizzata dal Tea Party Italia a Venezia lo scorso luglio.
La protesta di quegli “arroganti” ragazzacci che non le mandano mai a dire (li definisco così perché tali erano stati i commenti da parte di alcuni farisei al vivace intervento del loro portavoce, l’amico Giacomo Zucco, che ebbe l’ardire di zittire l’allora premier Monti durante una trasmissione televisiva) era allora rivolta alla reintroduzione dell’ Imu: fu allestito un banchetto, molte bandiere con la teiera, un microfono ed a tutti era stata data la possibilità di esprimersi sul tema.
Terminati gli interventi restammo a parlare, tra gli altri, con Antonio Martino, convinto liberale e tessera numero 2 di quella che fu Forza Italia, delle origini del movimento, del successo che ottenne nel ’94, di alcuni errori e dei molti incidenti di percorso che hanno poi caratterizzato i suoi circa venti anni di storia politica.
Ovviamente tutti concordavamo sul fattore di successo dato dal carisma personale di Silvio Berlusconi, ma non era tutto lì: sarebbe troppo semplice relegare tale fenomeno di massa a quel singolo aspetto. Galan, nell’intervista citata, ha ripreso alcuni aspetti molto importanti del clima di allora. In particolare, la capacità di una visione (romanticamente l’ex ministro la chiama sogno) e di un progetto politico che seppe intercettare le istanze e le aspettative di quella classe media fatta da artigiani, piccoli imprenditori e professionisti che si vedevano già quali vittime potenziali di un possibile futuro governo frutto del successo della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto.
La capacità di comunicare in modo chiaro e semplice al cuore, alla testa e, perché no, al portafoglio di quelle persone, l’idea dell’atteso cambiamento da realizzarsi con la promessa rivoluzione liberale si rivelò vincente. A Venezia, Giancarlo Galan ne parlava con tono nostalgico, quasi rammaricato da ciò che poi era stata l’evoluzione del movimento berlusconiano, auspicandone tuttavia un ritorno allo spirito originario. Per le sue parole di un anno fa, gli va quindi riconosciuto il merito di aver anticipato, con la speranza di un ritorno al passato, quello che sarà il futuro prossimo del Pdl.
E’ un futuro che, indipendentemente dalle questioni personali che riguardano il Cavaliere, presenta molte caratteristiche identiche a quelle di allora e, per certi versi, ancora più favorevoli ad un (rinnovato) movimento liberale, riformista e presidenzialista. La sinistra, nonostante Renzi, non riesce ad evolversi, ferma come è sulle posizioni dei suoi maggiori azionisti. Grillo ha sprecato il calcio di rigore benevolmente concessogli, avvitandosi su scontrini ed epurazioni. Il riformismo annunciato di Monti (peraltro dichiaratosi infastidito ogni volta che rientra in Italia dall’estero…) si è infranto sulla sua incapacità di comunicare durante la scorsa campagna elettorale e sulle attuali beghe interne dei suoi colonnelli di etnia diversa.
E gli elettori di allora? Ci sono, sebbene alcuni abbiano votato per protesta e la maggior parte di loro abbiano disertato le urne, quel blocco sociale è solo in attesa di ricevere una proposta, che magari li faccia sognare e sperare nuovamente di avere un’opportunità, una via di salvezza. Ma, caro Giancarlo, attenzione a non deluderli ancora, basta errori e brighe interne: errare è umano, perseverare significherebbe perdere definitivamente ogni credibilità politica nonostante l’appeal del cognome Berlusconi, Silvio o Marina che sia.