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La Jihad è (anche) qui. La road map del Pd per prevenire attentati in Italia

Di Andrea Manciulli, Enrico Borghi, Alberto Pagani, Carmelo Miceli ed Enrico Casini

Gli strumenti normativi ci sono, basta applicarli. Un documento per Formiche.net a firma di Andrea Manciulli, Enrico Borghi, Alberto Pagani, Carmelo Miceli ed Enrico Casini indica una road map per prevenire la jihad islamista in Italia ed evitare che i fatti di Nizza si ripetano a Roma. Dal web alla scuola, ecco le istruzioni per l’uso (del Partito democratico) per combattere la radicalizzazione

I recenti, drammatici, eventi di Nizza, con l’attacco terroristico di matrice jihadista in una chiesa, che hanno seguito di pochi giorni la decapitazione di un professore di storia a Parigi e un altro attacco a fine settembre, segnalano una preoccupante recrudescenza di atti violenti di matrice estremistico-islamista che coinvolgono la Francia, il Paese più colpito negli ultimi anni dal 2012 a oggi, proprio dall’ondata di violenza jihadista che in gran parte è corrisposta anche all’esplosione del fenomeno mediatico di Daesh.

Ma nella loro drammatica durezza, per le vittime coinvolte e le conseguenze generate, questi fatti riportano all’attenzione generale il tema della minaccia della radicalizzazione e della violenza estremistica di matrice jihadista, un tema che nel corso degli ultimi mesi era di fatto scomparso dall’attenzione dei media. Evidentemente l’emergenza sanitaria che ha sconvolto il mondo e sta tuttora coinvolgendo molti paesi occidentali, la Francia come l’Europa nelle ultime ore in modo sempre più grave, ha ovviamente occupato larga parte delle attenzioni non solo dei media, ma anche dell’opinione pubblica e delle istituzioni. E così era comprensibile e giusto.

Fronteggiare un’emergenza così grave, e persistente, è chiaramente una priorità che richiede risorse crescenti e continue. Noi tutti siamo convinti che sconfiggere questo virus e superare questa crisi che da febbraio ha colpito l’Europa sia ovviamente una priorità irrinunciabile.

Ma gli ultimi fatti di Nizza, come quelli di Parigi, come altri eventi, magari meno eclatanti, che nel corso dei mesi si sono ripetuti, scollegati tra loro ma magari simili nelle dinamiche, ci portano a ritenere che oltre l’emergenza di queste ore, che noi tutti ovviamente confidiamo possa essere superata quanto prima possibile, vi siano altre necessità, importanti, che interessano direttamene la nostra sicurezza, legate a minacce esistenti, anche gravi, che persistono e possono colpirci, anche in mezzo alla crisi generata dal Covid.

Anzi, proprio a causa di questa crisi, potrebbero colpire in modo ancora più pesante e generare reazioni anche più scomposte. Del resto, l’emergenza attuale rende le nostre comunità e i nostri sistemi istituzionali più fragili e più esposti, anche al pericolo di nuove forme di violenza estremistica, compresa quella di natura jihadista.

Inoltre è anche giusto ricordare che sia il lockdown, che le ricadute sociali, economiche e psicologiche di questa situazione di emergenza continua, possono favorire la formazione di reazioni violente, anche individuali, che possono anche casualmente sposarsi con forme di radicalizzazione estremistica. Ecco perché, prorpio in questo momento particolare,  può essere necessario alzare la soglia dell’attenzione verso queste forme di radicalismo violento e la loro diffusione.

Sugli eventi di questi giorni sarà fatta chiarezza attraverso le indagini in corso, che potranno aiutare a comprendere molti elementi ancora incerti. Il caso ultimo dell’attacco a Nizza, il più grave per numero di vittime, ha prodotto in queste ore alcune polemiche politiche. Ma in attesa che proprio su questa vicenda sia fatta maggiore chiarezza, per poter esprimere valutazioni e analisi più precise e dettagliate sul caso specifico, ci sembra invece necessario riprendere in mano la riflessione sul tema della prevenzione della radicalizzazione violenta, anche di matrice jihadista, e degli strumenti di de-radicalizzazione.

In un momento complicato come quello che stiamo vivendo in tutta Europa, probabilmente sarebbe utile e necessario, anche in Italia, lavorare per formare un clima più costruttivo e un confronto più sereno, su temi come questi, come fu del resto dopo i fatti di Charlie Hebdo e gli attacchi terroristici del gennaio 2015.

Allora nel nostro Paese furono varate nuove misure di contrasto del terrorismo internazionale, introducendo nel nostro ordinamento giuridico rilevanti aggiornamenti normativi che in questi anni hanno permesso lo svolgimento di molte indagini e l’esecuzione di arresti ed espulsioni.

Oggi, anche riprendendo in mano il lavoro già fatto, per aggiornarlo se necessario alle luce delle nuove esigenze, sarebbe utile proseguire nella strada allora avviata e introdurre nel nostro paese un sistema di strumenti di intervento concreti, supportati da norme precise, di prevenzione della radicalizzazione jihadista, che possano mettere meglio in grado le istituzioni e i soggetti preposti alla nostra sicurezza, per operare non solo nel reprimere e condannare i soggetti responsabili di eventi già avvenuti o in fase di progettazione, ma anche sul versante della prevenzione dei processi di radicalizzazione.

Sviluppando al meglio, là dove necessario, tutte le possibili collaborazioni con le istituzioni socio-sanitarie o scolastiche, con la società civile, le comunità religiose, per riuscire ad individuare i fenomeni estremistici e potenzialmente violenti alle loro prime manifestazioni, prima che possano aggravarsi e produrre atti violenti.

Non si tratta di un tema banale, ma è anzi oggi sempre più attuale. Non solo in ragione di quanto accaduto a Nizza e Parigi, e ai profili degli attentatori coinvolti, alle loro storie personali. È un tema su cui la politica deve agire, cercando un confronto ampio al suo interno e verso la società, che riguarda non solo le istituzioni o il comparto sicurezza, ma riguarda tutta la società italiana, interessa il mondo della scuola come l’associazionismo, la sanità come la cultura o le comunità religiose e le istituzioni locali.

Molti casi degli ultimi anni ce lo confermano. Infatti, a partire anche dalla nostra esperienza italiana o dal confronto con le esperienze dei principali Paesi europei, abbiamo visto come molti processi di radicalizzazione siano il frutto di fenomeni o eventi diversi tra loro, a seconda dei singoli casi, che ci pongono interrogativi importanti e non banali. Esiste una casistica vastissima: i processi di radicalizzazione sono molto differenti tra loro e spesso nascondono cause diversissime, di natura culturale, sociale, individuale. Si va da forme di ribellione giovanile a crisi di tipo identitario, a forme di rifiuto della modernità e della società in cui si vive ad altre cause più individuali.

Internet e la rete, in questi ultimi anni, ha giocato un ruolo determinante sia per permettere alla propaganda di organizzazioni come Daesh o Al Qaeda di sedurre nuovi adepti, magari tra soggetti fragili o condizionabili, e di arruolare nuovi miliziani, ma anche per diffondere l’ideologia del “jihad fai da te” e moltiplicare il numero di simpatizzanti e sostenitori della loro causa. Tra questi simpatizzanti, talvolta, si sono poi formati alcuni degli attentatori che abbiamo conosciuto. Alcuni di coloro che hanno deciso di colpire, lo hanno fatto, in alcuni casi, per spirito di emulazione o radicalizzandosi e decidendo di passare all’azione in un lasso di tempo molto breve. Però, molto spesso, avendo avuto contatti attraverso il web con altri soggetti già radicalizzati o essendo entrati in contatto con la galassia jihadista che proprio nel web negli ultimi anni è proliferata. E che grazie al web è riuscita a propagarsi e moltiplicare la sua penetrazione in contesti familiari, sociali o individuali a rischio. A tutto questo, ovviamente, si sommano le forme di arruolamento e di radicalizzazione, che nel tempo hanno interessato alcune aree urbane depresse o per esempio luoghi come le carceri.

Certamente le gravità degli attacchi di questi ultimi giorni ci pone il tema di una minaccia terroristica di matrice jihadista e, più in generale, di forme di radicalizzazione violenta, con cui dobbiamo fare i conti, anche se, come sei anni fa, non abbiamo a che fare con le bandiere di Daesh che sventolano su Raqqa o Mosul. L’esperimento territoriale di Daesh è stato sconfitto, ma non il suo progetto e la sua organizzazione, che invece sopravvive sia in versione virtuale che grazie a sacche di resistenza e di presenza jihadista in alcune aree del Medio Oriente e alla sopravvivenza di molti miliziani di Daesh che attendono nell’ombra il momento di poter tornare a colpire. Alcune aree instabili, nel Nord Africa come nel Sahel, nel Corno d’Africa o nell’Asia centrale, mantengono tutt’ora una presenza rilevante di organizzazioni e strutture jihadiste, spesso conniventi con reti criminali, che rappresentano una minaccia davvero concreta alla stabilità e alla sicurezza delle aree in cui risiedono. E da queste anche verso l’Europa.

Ma la presenza e la sopravvivenza delle reti jihadiste terroristiche in molti Paesi che si affacciano nel Mediterraneo non fa che rafforzare la necessità di mettere in campo strumenti nuovi, al fianco di quelli di natura repressiva, che permettano di intervenire efficacemente contro questo genere di minaccia impedendo il suo consolidamento e la sua diffusione. Agire sul piano preventivo può essere utile per evitare che certi eventi si producano.

In Italia avevamo avviato questa riflessione da tempo e una proposta di legge presentata da Andrea Manciulli e Stefano Dambruoso, dedicata proprio all’introduzione di misure di prevenzione della radicalizzazione violenta di matrice jihadista, era stata approvata dalla Camera nel 2017. Si tratta di un primo passo, che oggi sicuramente va rivisto, aggiornato, e può essere migliorato, ma che si fa ogni giorno di più necessario. Non solo perché la minaccia del terrorismo jihadista continua a essere in atto, soprattutto nelle sue ultime manifestazioni individualizzate e più improvvise, ma anche perché in taluni casi può legarsi anche ad alcuni degli effetti gravi che l’emergenza Covid sta avendo sulle nostre comunità.

Nessuna minaccia di questo genere va sottovalutata e pensiamo che nessuno voglia farlo. Per questo investire di più sulla prevenzione non è solo conveniente, ma può davvero andare incontro alla richiesta di sicurezza che ci viene dai cittadini, anche in un momento come quello attuale.



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